Il volume contiene una riflessione sul rapporto fra la condizione di estraneità e il sistema penale, attraverso l’analisi delle norme che hanno maggiore impatto sulla libertà personale dell’allogeno: ovvero le disposizioni del decreto legislativo n. 286 del 1998 (il c.d. testo unico sull’immigrazione) che riguardano le espulsioni e quelle propriamente incriminatrici. Il tema è affrontato nel flusso reale e culturale della globalizzazione. La premessa metodologica adottata è costituita dalla necessità di guardare asetticamente il sistema delineato dal legislatore, senza rimanere legati a preconcetti ideologici sulla natura umana degli stranieri, in quanto la differenza fra “buoni” e “cattivi”, su cui è fondata molta parte dell’attenzione pubblica verso questo tema, concerne la dimensione meramente individuale. Il volume è strutturato in tre parti. Nella prima parte, dedicata al rapporto fra globalizzazione e libertà di movimento, l’attenzione è rivolta alla valutazione del contesto in cui va collocata la problematica migratoria. Si tiene conto, perciò, delle tendenze della realtà contemporanea, di carattere variamente sociale, culturale, economico, istituzionale, che incidono sul fenomeno e sui modi di rappresentarlo e affrontarlo. Si fa così riferimento alla globalizzazione, soprattutto culturale, alla crisi dell’idea di sovranità nazionale, alla rilevanza delle tecnologie e dell’economia nei processi di formazione delle decisioni politiche e della valutazione dei fenomeni a dimensione ultralocale, nonché al tema dei diritti umani, alla stregua del quale, inevitabilmente, va posta e considerata la questione migratoria. La seconda parte è dedicata all’analisi delle varie forme di espulsione previste nel nostro ordinamento giuridico: come sanzione amministrativa, come misura di sicurezza, come sanzione sostitutiva della reclusione, come misura alternativa alla detenzione. L’espulsione, infatti, costituisce il rimedio preferito dal legislatore per affrontare il problema posto non solo dalle condotte penalmente rilevanti degli stranieri, ma altresì dalla loro eventuale pericolosità. Nella terza parte sono analizzati, in particolare, il reato di immigrazione illegale e il rapporto fra i delitti di favoreggiamento dell’immigrazione illegale e quello di tratta degli esseri umani. La condizione di illegalità dello straniero rileva, infatti, oltre che nella prospettiva individuale, nell’ambito dell’attività di chi agevola l’ingresso clandestino delle persone in Italia o in altro Stato ovvero la permanenza irregolare nel territorio nazionale. L’obiettivo politico-criminale è, essenzialmente, il contrasto del traffico di esseri umani, solitamente molto remunerativo, gestito normalmente da organizzazioni delittuose di carattere pure internazionale. Le norme incriminatrici sono strutturate, però, in modo da ricomprendere nell’ambito della rilevanza penale finanche il favoreggiamento operato dal singolo dell’ingresso o della permanenza illegale di un unico straniero. In queste fattispecie si presuppone, in generale, l’assenza dello sfruttamento dell’allogeno – l’impossibilità, quindi, di definirlo “vittima” – e si sanziona la trasgressione della disciplina sulla regolarità della presenza degli stranieri nel territorio dello Stato. Di ben più ampia portata, perché prescinde dalla condizione di illegalità dello straniero, è il fenomeno della tratta degli esseri umani; qui l’estraneo, sebbene sovente clandestino, è considerato soggetto passivo di un illecito che colpisce in modo consistente la personalità individuale. Le difficoltà interpretative e applicative derivano dalla non semplice distinguibilità in concreto delle situazioni in cui l’allogeno è persona offesa nell’ambito della tratta da quelle in cui può essere considerato “corresponsabile” dei fatti di favoreggiamento dell’ingresso clandestino. Sembra così che il legislatore abbia creato una sorta di doppio binario, formalmente ineccepibile, fra la previsione astratta del fenomeno e la sua realtà. Da un lato, è un sistema rigido e rigoroso che colpisce lo straniero illegalmente presente sul territorio nazionale; dall’altro, è un sistema garantistico e protettivo verso le “persone” coinvolte nella tratta. Il problema è anche che molte volte vi è coincidenza fisica fra questi soggetti, cui non corrisponde la medesima qualifica giuridica dei ruoli. Così, ciò che in linea di principio è chiaro, diventa ambiguo nella prassi. E, d’altronde, non può essere negato come il modo in cui uno Stato si comporta, segnatamente dal punto di vista penale, nei confronti degli stranieri possa essere considerato indicatore del livello di democraticità.

Gli stranieri e il diritto penale

LANZA, Enrico
2011-01-01

Abstract

Il volume contiene una riflessione sul rapporto fra la condizione di estraneità e il sistema penale, attraverso l’analisi delle norme che hanno maggiore impatto sulla libertà personale dell’allogeno: ovvero le disposizioni del decreto legislativo n. 286 del 1998 (il c.d. testo unico sull’immigrazione) che riguardano le espulsioni e quelle propriamente incriminatrici. Il tema è affrontato nel flusso reale e culturale della globalizzazione. La premessa metodologica adottata è costituita dalla necessità di guardare asetticamente il sistema delineato dal legislatore, senza rimanere legati a preconcetti ideologici sulla natura umana degli stranieri, in quanto la differenza fra “buoni” e “cattivi”, su cui è fondata molta parte dell’attenzione pubblica verso questo tema, concerne la dimensione meramente individuale. Il volume è strutturato in tre parti. Nella prima parte, dedicata al rapporto fra globalizzazione e libertà di movimento, l’attenzione è rivolta alla valutazione del contesto in cui va collocata la problematica migratoria. Si tiene conto, perciò, delle tendenze della realtà contemporanea, di carattere variamente sociale, culturale, economico, istituzionale, che incidono sul fenomeno e sui modi di rappresentarlo e affrontarlo. Si fa così riferimento alla globalizzazione, soprattutto culturale, alla crisi dell’idea di sovranità nazionale, alla rilevanza delle tecnologie e dell’economia nei processi di formazione delle decisioni politiche e della valutazione dei fenomeni a dimensione ultralocale, nonché al tema dei diritti umani, alla stregua del quale, inevitabilmente, va posta e considerata la questione migratoria. La seconda parte è dedicata all’analisi delle varie forme di espulsione previste nel nostro ordinamento giuridico: come sanzione amministrativa, come misura di sicurezza, come sanzione sostitutiva della reclusione, come misura alternativa alla detenzione. L’espulsione, infatti, costituisce il rimedio preferito dal legislatore per affrontare il problema posto non solo dalle condotte penalmente rilevanti degli stranieri, ma altresì dalla loro eventuale pericolosità. Nella terza parte sono analizzati, in particolare, il reato di immigrazione illegale e il rapporto fra i delitti di favoreggiamento dell’immigrazione illegale e quello di tratta degli esseri umani. La condizione di illegalità dello straniero rileva, infatti, oltre che nella prospettiva individuale, nell’ambito dell’attività di chi agevola l’ingresso clandestino delle persone in Italia o in altro Stato ovvero la permanenza irregolare nel territorio nazionale. L’obiettivo politico-criminale è, essenzialmente, il contrasto del traffico di esseri umani, solitamente molto remunerativo, gestito normalmente da organizzazioni delittuose di carattere pure internazionale. Le norme incriminatrici sono strutturate, però, in modo da ricomprendere nell’ambito della rilevanza penale finanche il favoreggiamento operato dal singolo dell’ingresso o della permanenza illegale di un unico straniero. In queste fattispecie si presuppone, in generale, l’assenza dello sfruttamento dell’allogeno – l’impossibilità, quindi, di definirlo “vittima” – e si sanziona la trasgressione della disciplina sulla regolarità della presenza degli stranieri nel territorio dello Stato. Di ben più ampia portata, perché prescinde dalla condizione di illegalità dello straniero, è il fenomeno della tratta degli esseri umani; qui l’estraneo, sebbene sovente clandestino, è considerato soggetto passivo di un illecito che colpisce in modo consistente la personalità individuale. Le difficoltà interpretative e applicative derivano dalla non semplice distinguibilità in concreto delle situazioni in cui l’allogeno è persona offesa nell’ambito della tratta da quelle in cui può essere considerato “corresponsabile” dei fatti di favoreggiamento dell’ingresso clandestino. Sembra così che il legislatore abbia creato una sorta di doppio binario, formalmente ineccepibile, fra la previsione astratta del fenomeno e la sua realtà. Da un lato, è un sistema rigido e rigoroso che colpisce lo straniero illegalmente presente sul territorio nazionale; dall’altro, è un sistema garantistico e protettivo verso le “persone” coinvolte nella tratta. Il problema è anche che molte volte vi è coincidenza fisica fra questi soggetti, cui non corrisponde la medesima qualifica giuridica dei ruoli. Così, ciò che in linea di principio è chiaro, diventa ambiguo nella prassi. E, d’altronde, non può essere negato come il modo in cui uno Stato si comporta, segnatamente dal punto di vista penale, nei confronti degli stranieri possa essere considerato indicatore del livello di democraticità.
2011
978-88-13-30756-1
globalizzazione; estraneità; diritti umani
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.11769/117076
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