Fra i materiali ceramici provenienti dalla favissa del Persephoneion di Locri Epizefiri, cinque frammenti, di cui quattro combacianti, relativi ad una coppa del tipo Siana databile fra il 560 e il 550 a.C., restituiscono parte di un fregio figurato, che, a prima vista enigmatico, ha resistito sino ad oggi ad ogni tentativo di esegesi iconografica. Beazley, che pure metteva la kylix in relazione con il Pittore C, non ha avanzato alcuna ipotesi riguardo al mito rappresentato, limitandosi ad annotare “unexplained subject: a building – temple or palace - then two archers running to right with drawn bow, then a woman running to left, and a woman running to right”. Finalità, dunque, di questo lavoro è stata, quella di risolvere il puzzle, cercando di dare un’identità ai personaggi e soprattutto di individuare il mito raffigurato. Se, poi, cerchiamo di dare un’identità ai due arcieri alcuni dettagli connotanti l’immagine possono orientare la nostra interpretazione: innanzitutto la forte somiglianza che li accomuna (non a caso abbiamo parlato di una loro gemellarità) e, ancora, il particolare dei calzari alati che ne precisa la natura divina e che rende molto probabile la loro identificazione con i due gemelli divini, arcieri per eccellenza, Apollo e Artemide. Apollo ed Artemide, dunque, i due gemelli terribili, per usare l’espressione di Carpenter, fanno la loro comparsa a partire dal secondo quarto del VI secolo a.C. e risultano associati nell’atto di lanciare dardi per lo più in scene di combattimento, quali quelle relative all’uccisione di Tityos, alle Gigantomachie e all’uccisione dei figli di Niobe, episodio mitico a cui è possibile ricondurre il fregio della coppa di Locri, che presenta, tuttavia, un importante elemento di novità per il fatto di ambientare l’episodio mitico presso un edificio circondato da una peristasi di colonne doriche che sostengono un architrave scandito da metope dipinte di bianco e da triglifi graffiti, il quale sembra alludere ad un tempio. L’ipotesi dell’edificio sacro potrebbe trovare una qualche motivazione nel dato che protagonisti dell’azione sono i due gemelli divini, e, inoltre, questa ambientazione sarebbe funzionale a sottolineare la tragica sacralità dell’evento. Un suggerimento diverso ci giunge, invece, dalla tradizione letteraria ed in particolare da Omero, il quale riferendo della sciagura di Niobe scrive “ le morirono in casa dodici figli”; “™nˆ meg£roisin” potrebbe fare riferimento al megaron regale, alla reggia di Anfione, suo sposo. L’epos, quindi, colloca l’evento all’interno o nelle immediate vicinanze della reggia, e, ad esso, alcuni secoli dopo si sarebbe ispirato anche Sofocle, il quale ambienta l’uccisione dei figli maschi di Niobe sul monte Citerone, mentre quella delle femmine “kat'oἶkon”. Certamente complesso è stato determinare se la presenza nel Persephoneion di Locri del mito di Niobe avesse una sua qualche giustificazione semantica. Un possibile parallelo è stato rinvenuto nel destino, a tratti simile, di Niobe e Demetra, madri accomunate dal dolore della perdita della prole e una certa suggestione potrebbe derivare dal ricordo di Demetra, la quale, secondo lo Pseudo-Apollodoro (1,5,1), giunta ad Eleusi dopo il rapimento della figlia, si mise a sedere su una roccia, che dal suo atteggiamento venne detta “senza sorriso”, laddove Niobe si tramutò essa stessa in una roccia piangente. Nel proseguo della tradizione figurativa, dopo l’esperienza arcaica, il mito sembra conoscere una lunga quiescenza e riproporsi solo a partire dal 460 a.C. circa. È innanzitutto oltremodo significativo che la provenienza dei vasi di età classica sinora noti, eccetto un esemplare rinvenuto nell’Agora di Atene, sia l’Etruria. Non è da escludere che, in questo ambito geografico, un rinnovato interesse per i vasi che raffiguravano il mito, possa averlo destato anche la decorazione del tempio di Apollo a Veio, eseguita fra il 510 e il 490 a.C.: uno dei suoi gruppi acroteriali, secondo una persuasiva ricostruzione proposta da Jennifer Neils, avrebbe ritratto Artemide che saettava Niobe in fuga con la più giovane delle figlie fra le braccia. Le ragioni di questo revival del mito a partire dal 460 a.C. con grande probabilità furono molteplici e tra loro irrelate. Certamente non mancarono motivazioni di ordine storico o politico, se si accetta l’idea che il mito, probabilmente già da Eschilo ambientato nella città di Tebe, potesse avere assunto il valore metaforico di punizione della hybris nel senso più lato. L’uccisione dei figli di Niobe da parte di Apollo e Artemide sarebbe paradigmatica dello sterminio dei Persiani a causa della tracotanza dimostrata da Serse nella battaglia di Platea. Come Niobe si era ritenuta migliore di Latona perché madre di numerosi figli, così Serse aveva creduto di essere superiore ai Greci in ragione della preponderanza numerica delle sue truppe. Inoltre, l’ambientazione cadmea della strage avrebbe ricordato a tutti la punizione toccata alla città che aveva medizzato, tradendo la causa dei Greci. Altre ipotesi, tuttavia. sulla fortuna del mito nel V secolo a. C. possono essere avanzate. L’ambito cronologico preso in considerazione ci induce a non respingere l’ipotesi che alla fortuna del mito possa aver contribuito l’esperienza tragica eschilea. Papiri di Eschilo rinvenuti nel 1932 ad Ossirinco ci hanno restituito ventuno versi della Niobe, che, pur presentando complessi problemi esegetici, sono tuttavia rilevanti per la conoscenza di importanti peculiarità strutturali del dramma, ma è soprattutto la brillante tirata polemica di Euripide in Aristofane Rane 911ss. – dove il più giovane drammaturgo rimprovera ad Eschilo di mettere in scena, nei suoi prologhi, personaggi con la testa velata come Achille o Niobe, che per meglio rimarcare la loro volontà di isolarsi nel risentimento o nel dolore, tacevano a lungo sulla scena-, che testimonia come il forte impatto visivo esercitato da questo modulo scenico fosse ancora operante dopo più di un cinquantennio dalla rappresentazione del dramma. Che, poi, il segno impresso sull’immaginario collettivo dal dramma del tragico di Eleusi possa avere riguardato, in particolare, gli artigiani del Ceramico, ovviamente recettivi alle suggestioni visuali, mi sembra credibile.

I due gemelli terribili a Locri

GIUDICE, ELVIA MARIA LETIZIA
2015-01-01

Abstract

Fra i materiali ceramici provenienti dalla favissa del Persephoneion di Locri Epizefiri, cinque frammenti, di cui quattro combacianti, relativi ad una coppa del tipo Siana databile fra il 560 e il 550 a.C., restituiscono parte di un fregio figurato, che, a prima vista enigmatico, ha resistito sino ad oggi ad ogni tentativo di esegesi iconografica. Beazley, che pure metteva la kylix in relazione con il Pittore C, non ha avanzato alcuna ipotesi riguardo al mito rappresentato, limitandosi ad annotare “unexplained subject: a building – temple or palace - then two archers running to right with drawn bow, then a woman running to left, and a woman running to right”. Finalità, dunque, di questo lavoro è stata, quella di risolvere il puzzle, cercando di dare un’identità ai personaggi e soprattutto di individuare il mito raffigurato. Se, poi, cerchiamo di dare un’identità ai due arcieri alcuni dettagli connotanti l’immagine possono orientare la nostra interpretazione: innanzitutto la forte somiglianza che li accomuna (non a caso abbiamo parlato di una loro gemellarità) e, ancora, il particolare dei calzari alati che ne precisa la natura divina e che rende molto probabile la loro identificazione con i due gemelli divini, arcieri per eccellenza, Apollo e Artemide. Apollo ed Artemide, dunque, i due gemelli terribili, per usare l’espressione di Carpenter, fanno la loro comparsa a partire dal secondo quarto del VI secolo a.C. e risultano associati nell’atto di lanciare dardi per lo più in scene di combattimento, quali quelle relative all’uccisione di Tityos, alle Gigantomachie e all’uccisione dei figli di Niobe, episodio mitico a cui è possibile ricondurre il fregio della coppa di Locri, che presenta, tuttavia, un importante elemento di novità per il fatto di ambientare l’episodio mitico presso un edificio circondato da una peristasi di colonne doriche che sostengono un architrave scandito da metope dipinte di bianco e da triglifi graffiti, il quale sembra alludere ad un tempio. L’ipotesi dell’edificio sacro potrebbe trovare una qualche motivazione nel dato che protagonisti dell’azione sono i due gemelli divini, e, inoltre, questa ambientazione sarebbe funzionale a sottolineare la tragica sacralità dell’evento. Un suggerimento diverso ci giunge, invece, dalla tradizione letteraria ed in particolare da Omero, il quale riferendo della sciagura di Niobe scrive “ le morirono in casa dodici figli”; “™nˆ meg£roisin” potrebbe fare riferimento al megaron regale, alla reggia di Anfione, suo sposo. L’epos, quindi, colloca l’evento all’interno o nelle immediate vicinanze della reggia, e, ad esso, alcuni secoli dopo si sarebbe ispirato anche Sofocle, il quale ambienta l’uccisione dei figli maschi di Niobe sul monte Citerone, mentre quella delle femmine “kat'oἶkon”. Certamente complesso è stato determinare se la presenza nel Persephoneion di Locri del mito di Niobe avesse una sua qualche giustificazione semantica. Un possibile parallelo è stato rinvenuto nel destino, a tratti simile, di Niobe e Demetra, madri accomunate dal dolore della perdita della prole e una certa suggestione potrebbe derivare dal ricordo di Demetra, la quale, secondo lo Pseudo-Apollodoro (1,5,1), giunta ad Eleusi dopo il rapimento della figlia, si mise a sedere su una roccia, che dal suo atteggiamento venne detta “senza sorriso”, laddove Niobe si tramutò essa stessa in una roccia piangente. Nel proseguo della tradizione figurativa, dopo l’esperienza arcaica, il mito sembra conoscere una lunga quiescenza e riproporsi solo a partire dal 460 a.C. circa. È innanzitutto oltremodo significativo che la provenienza dei vasi di età classica sinora noti, eccetto un esemplare rinvenuto nell’Agora di Atene, sia l’Etruria. Non è da escludere che, in questo ambito geografico, un rinnovato interesse per i vasi che raffiguravano il mito, possa averlo destato anche la decorazione del tempio di Apollo a Veio, eseguita fra il 510 e il 490 a.C.: uno dei suoi gruppi acroteriali, secondo una persuasiva ricostruzione proposta da Jennifer Neils, avrebbe ritratto Artemide che saettava Niobe in fuga con la più giovane delle figlie fra le braccia. Le ragioni di questo revival del mito a partire dal 460 a.C. con grande probabilità furono molteplici e tra loro irrelate. Certamente non mancarono motivazioni di ordine storico o politico, se si accetta l’idea che il mito, probabilmente già da Eschilo ambientato nella città di Tebe, potesse avere assunto il valore metaforico di punizione della hybris nel senso più lato. L’uccisione dei figli di Niobe da parte di Apollo e Artemide sarebbe paradigmatica dello sterminio dei Persiani a causa della tracotanza dimostrata da Serse nella battaglia di Platea. Come Niobe si era ritenuta migliore di Latona perché madre di numerosi figli, così Serse aveva creduto di essere superiore ai Greci in ragione della preponderanza numerica delle sue truppe. Inoltre, l’ambientazione cadmea della strage avrebbe ricordato a tutti la punizione toccata alla città che aveva medizzato, tradendo la causa dei Greci. Altre ipotesi, tuttavia. sulla fortuna del mito nel V secolo a. C. possono essere avanzate. L’ambito cronologico preso in considerazione ci induce a non respingere l’ipotesi che alla fortuna del mito possa aver contribuito l’esperienza tragica eschilea. Papiri di Eschilo rinvenuti nel 1932 ad Ossirinco ci hanno restituito ventuno versi della Niobe, che, pur presentando complessi problemi esegetici, sono tuttavia rilevanti per la conoscenza di importanti peculiarità strutturali del dramma, ma è soprattutto la brillante tirata polemica di Euripide in Aristofane Rane 911ss. – dove il più giovane drammaturgo rimprovera ad Eschilo di mettere in scena, nei suoi prologhi, personaggi con la testa velata come Achille o Niobe, che per meglio rimarcare la loro volontà di isolarsi nel risentimento o nel dolore, tacevano a lungo sulla scena-, che testimonia come il forte impatto visivo esercitato da questo modulo scenico fosse ancora operante dopo più di un cinquantennio dalla rappresentazione del dramma. Che, poi, il segno impresso sull’immaginario collettivo dal dramma del tragico di Eleusi possa avere riguardato, in particolare, gli artigiani del Ceramico, ovviamente recettivi alle suggestioni visuali, mi sembra credibile.
2015
Niobe, Apollo e Artemide, iconografia, Eschilo
Locri Epizefiri, Persephoneion,
ceramica attica, coppa di Siana, Pittore della Vendemmia,
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.11769/19431
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