Il testo costituisce la prefazione del volume “I paesaggi della Riforma agraria: storia, pianificazione e gestione” che ha visto coinvolti studiosi di diverse discipline afferenti a 15 università diverse. Le cause della riforma agraria si evincono dai dati del censimento 1951 da cui si evince che il 42% della popolazione lavorava in agricoltura, ma il suo contributo al PIL era appena il 24%. Inoltre 45 mila proprietari possedevano 10 milioni di ettari di terreno agricolo, con una estensione media del fondo di oltre 200 ettari. La riforma ha dunque l’obiettivo di modernizzare il comparto, migliorarne la redditività ed eliminare le sacche di inefficienza legate all’uso di sistemi di coltivazione estensiva e di tecniche obsolete, alla scarsità dell’acque e all’ abbandono di parti significative dei grandi possedimenti. Lo smembramento del latifondo appare lo strumento principale per trasferire le terre dai grandi proprietari che ne utilizzavano le rendite senza occuparsi di migliorare quantità e qualità dei prodotti, verso la piccola proprietà terriera, ritenuta più dinamica e interessata alla modernizzazione dell’agricoltura. In pochi anni vennero venduti oltre 2,5 milioni di ettari mentre i contadini passavano da 2 milioni a circa 700 mila, come esito del trasferimento di parte significativa delle masse contadine nelle città industriali. 113 mila famiglie diventarono piccoli proprietarie terriere. Il 62% dei terreni espropriati fu diviso in poderi e assegnati a contadini senza terra; il resto servì ad ampliare la superficie di proprietà già esistenti. Gli esiti più importanti e permanenti della politica agricola di quegli anni, dunque, non furono quelli della redistribuzione fondiaria, ma quelli della trasformazione agraria anche grazie alla decisa infrastrutturazione perseguita soprattutto attraverso i consorzi di bonifica e attraverso la Cassa per il Mezzogiorno nelle regioni meridionali. Ne derivò non solo un aumento significativo della produttività, ma anche una profonda riorganizzazione territoriale e una definitiva trasformazione del paesaggio, da agrario a rurale . Nel quadro della riforma, come era accaduto anche con interventi analoghi precedenti, vennero realizzati numerosi borghi che, uniti a quelli legati alle leggi di bonifica del 1923 e della colonizzazione del latifondo siciliano del 1940 raggiugono il numero di 160 in 11 regioni Il paesaggio della Riforma agraria non è oggi soltanto un elemento che caratterizza in intere regioni l’assetto del territorio, ma è un elemento di valore che rappresenta la maggiore operazione fondiaria e il più grande intervento statale mai posto in atto in Italia. Per questo esso deve essere oggetto di specifici studi e di una attenta pianificazione che ne preservi e valorizzi le principali caratteristiche

I paesaggi della riforma agraria: dalla storia al progetto

NIGRELLI, Fausto Carmelo
Writing – Original Draft Preparation
2017-01-01

Abstract

Il testo costituisce la prefazione del volume “I paesaggi della Riforma agraria: storia, pianificazione e gestione” che ha visto coinvolti studiosi di diverse discipline afferenti a 15 università diverse. Le cause della riforma agraria si evincono dai dati del censimento 1951 da cui si evince che il 42% della popolazione lavorava in agricoltura, ma il suo contributo al PIL era appena il 24%. Inoltre 45 mila proprietari possedevano 10 milioni di ettari di terreno agricolo, con una estensione media del fondo di oltre 200 ettari. La riforma ha dunque l’obiettivo di modernizzare il comparto, migliorarne la redditività ed eliminare le sacche di inefficienza legate all’uso di sistemi di coltivazione estensiva e di tecniche obsolete, alla scarsità dell’acque e all’ abbandono di parti significative dei grandi possedimenti. Lo smembramento del latifondo appare lo strumento principale per trasferire le terre dai grandi proprietari che ne utilizzavano le rendite senza occuparsi di migliorare quantità e qualità dei prodotti, verso la piccola proprietà terriera, ritenuta più dinamica e interessata alla modernizzazione dell’agricoltura. In pochi anni vennero venduti oltre 2,5 milioni di ettari mentre i contadini passavano da 2 milioni a circa 700 mila, come esito del trasferimento di parte significativa delle masse contadine nelle città industriali. 113 mila famiglie diventarono piccoli proprietarie terriere. Il 62% dei terreni espropriati fu diviso in poderi e assegnati a contadini senza terra; il resto servì ad ampliare la superficie di proprietà già esistenti. Gli esiti più importanti e permanenti della politica agricola di quegli anni, dunque, non furono quelli della redistribuzione fondiaria, ma quelli della trasformazione agraria anche grazie alla decisa infrastrutturazione perseguita soprattutto attraverso i consorzi di bonifica e attraverso la Cassa per il Mezzogiorno nelle regioni meridionali. Ne derivò non solo un aumento significativo della produttività, ma anche una profonda riorganizzazione territoriale e una definitiva trasformazione del paesaggio, da agrario a rurale . Nel quadro della riforma, come era accaduto anche con interventi analoghi precedenti, vennero realizzati numerosi borghi che, uniti a quelli legati alle leggi di bonifica del 1923 e della colonizzazione del latifondo siciliano del 1940 raggiugono il numero di 160 in 11 regioni Il paesaggio della Riforma agraria non è oggi soltanto un elemento che caratterizza in intere regioni l’assetto del territorio, ma è un elemento di valore che rappresenta la maggiore operazione fondiaria e il più grande intervento statale mai posto in atto in Italia. Per questo esso deve essere oggetto di specifici studi e di una attenta pianificazione che ne preservi e valorizzi le principali caratteristiche
2017
9788894199932
Paesaggio, riforma agraria, Territori rurali
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.11769/302896
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