“Libertà è partecipazione” cantava Giorgio Gaber più di 40 anni fa. Non si è veramente liberi cioè senza partecipare, senza condividere con altri un processo collettivo, una lotta, una causa di carattere generale. Partecipazione deriva dal latino partem capere, cioè “prendere parte”, ma il verbo latino capio vuol dire anche “ottenere”, “conquistare”, quindi la partecipazione è anche il risultato di una “conquista sociale”, cioè il diritto di far parte di una comunità (politica), oltre che prendere parte ai suoi processi decisionali. Diritto che nelle democrazie rappresentative coincide coi diritti politici, cioè di votare ed essere votati. Tuttavia, anche il diritto al voto, come nuova forma di libertà dell’uomo moderno, è considerato dai teorici della democrazia radicale e partecipativa insufficiente e falsamente consolatorio. Dunque, si sarebbe veramente liberi quando si può partecipare continuamente ai processi decisionali che riguardano la collettività e non soltanto attraverso le elezioni. Diverse interpretazioni dei Discorsi sulla prima Deca di Tito Livio di Machiavelli esaltano la Repubblica come forma di governo democratico, in cui l’istituzione tribunizia nella costituzione mista di Roma pone il popolo a “guardia della libertà” (Discorsi I, 5) e a fondamento della repubblica democratica. Poteri di veto e propositivi all’interno delle istituzioni repubblicane dei cittadini permettevano di limitare il potere delle élite, istituzionalizzare le contestazioni e partecipare al processo decisionale. Le magistrature plebee della costituzione mista della Repubblica romana garantivano infatti ai semplici cittadini ampi poteri reattivi e propositivi tramite assemblee a cui le élite non avevano accesso. Le istituzioni repubblicane sarebbero dunque riuscite attraverso la partecipazione istituzionale del popolo ad evitare che questo avesse delle reazioni violente. Quanto queste istituzioni partecipative erano solo finalizzate alla pace sociale e invece quanto potere di incidere avevano realmente i cittadini romani che non facevano parte dell’élite? E riportato il quesito ai giorni nostri, se la libertà consiste nel fare parte di una comunità e prendere parte continuamente ai processi decisionali collettivi, non soltanto delegando attraverso il voto, quali forme e sostanza garantiscono ai cittadini comuni reali capacità di incidere sul e condizionare il potere politico?

Libertà e partecipazione. Tra i Discorsi e vecchie canzoni

Piazza Gianni
2018-01-01

Abstract

“Libertà è partecipazione” cantava Giorgio Gaber più di 40 anni fa. Non si è veramente liberi cioè senza partecipare, senza condividere con altri un processo collettivo, una lotta, una causa di carattere generale. Partecipazione deriva dal latino partem capere, cioè “prendere parte”, ma il verbo latino capio vuol dire anche “ottenere”, “conquistare”, quindi la partecipazione è anche il risultato di una “conquista sociale”, cioè il diritto di far parte di una comunità (politica), oltre che prendere parte ai suoi processi decisionali. Diritto che nelle democrazie rappresentative coincide coi diritti politici, cioè di votare ed essere votati. Tuttavia, anche il diritto al voto, come nuova forma di libertà dell’uomo moderno, è considerato dai teorici della democrazia radicale e partecipativa insufficiente e falsamente consolatorio. Dunque, si sarebbe veramente liberi quando si può partecipare continuamente ai processi decisionali che riguardano la collettività e non soltanto attraverso le elezioni. Diverse interpretazioni dei Discorsi sulla prima Deca di Tito Livio di Machiavelli esaltano la Repubblica come forma di governo democratico, in cui l’istituzione tribunizia nella costituzione mista di Roma pone il popolo a “guardia della libertà” (Discorsi I, 5) e a fondamento della repubblica democratica. Poteri di veto e propositivi all’interno delle istituzioni repubblicane dei cittadini permettevano di limitare il potere delle élite, istituzionalizzare le contestazioni e partecipare al processo decisionale. Le magistrature plebee della costituzione mista della Repubblica romana garantivano infatti ai semplici cittadini ampi poteri reattivi e propositivi tramite assemblee a cui le élite non avevano accesso. Le istituzioni repubblicane sarebbero dunque riuscite attraverso la partecipazione istituzionale del popolo ad evitare che questo avesse delle reazioni violente. Quanto queste istituzioni partecipative erano solo finalizzate alla pace sociale e invece quanto potere di incidere avevano realmente i cittadini romani che non facevano parte dell’élite? E riportato il quesito ai giorni nostri, se la libertà consiste nel fare parte di una comunità e prendere parte continuamente ai processi decisionali collettivi, non soltanto delegando attraverso il voto, quali forme e sostanza garantiscono ai cittadini comuni reali capacità di incidere sul e condizionare il potere politico?
2018
9788857554198
Democrazia diretta, partecipativa, deliberativa, Machiavelli
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.11769/358319
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