Del tutto trascurato nella storia degli studi relativi agli scarabei etruschi è stato il tentativo di riconoscere 1'episodio omerico dell’agguato e dell’uccisione di Dolone, sebbene la rappresentazione di eroi greci, in questa classe di materiali, occupi un posto rilevante e Odisseo, in particolare, ritorni su ben 14 esemplari. Nel presente studio si analizzano un gruppo di gemme, connotate da pratiche e simboli rituali, nelle quali, a mio avviso è possibile riconoscere la doloneia. Mi riferisco ad alcuni scarabei classifica ti da Zazoff nel suo ricco catalogo tra i soggetti non riconosciuti, ma che lo studioso identifica, tuttavia, con scene di "mascnalismos", All'interno di questa silloge, alla luce di un'esegesi più puntuale, è possibile distinguere tre diversi schemi iconografici costruiti secondo moduli iconici, che vogliono suggerire la dinamicità di un atto ancora in corso. Nel primo un guerriero ha appena reciso la testa, ancora grondante di sangue, di una figura maschile, il cui corpo giace a terra ; nel secondo, l'atto cruento sembra essersi già consumato e l'eroe stante o seduto mostra il capo mozzato dell'avversario. L'ultimo schema, infine, aggiunge un particolare nuovo e certamente inatteso per i lettori dell'epos, particolare, che conferisce all'atto valenze funzionali diverse, visto che alla decapitazione segue la mutilazione del corpo dell'avversario, il "maschalismos secondo la terminologia già adottata da Furtwangler e ripresa da altri studiosi di gemme. Si tratta di tre scarabei caratterizzati da uno schema compositivo identico, nel quale sono due eroi nudi, in posizione simmetrica. Quello di destra, imberbe, regge il tronco di un corpo, dal quale è stato già reciso il capo e gli arti inferiori, mentre l'eroe di sinistra, con la spada sollevata, si accinge ad amputare quelli superiori. Se, dunque, le chiavi iconiche utilizzate (decapitazione in atto, o rappresentazione di un capo già reciso) sembrano veicolare un messaggio chiaro e possono essere considerate la trascrizione visuale dei versi omerici; più complessa appare l'ermeneutica delle scene di "maschalismos". Le valutazioni di carattere esegetico, in ogni caso, per una conferma della identificazione del mito. non possono prescindere dalla ricerca di una fonte figurativa o letteraria, che confermi il legame tra le nostre raffigurazioni e la Doloneia . L’lliade ambrosiana ci fornisce l'anello di congiunzione mancante: la miniatura XXXN narra in immagine gli eventi centrali della Doloneia in un'unica scena, in cui l'identificazione dei personaggi è resa certa dai nomi dipinti sopra i protagonisti, appaiono uniti in rapida successione paragonabile a una sequenza fotografica i due episodi della cattura e dell'uccisione della spia troiana. A sinistra Odisseo afferra Dolone, travestito da lupo, per il collo, alla presenza immobile dì Diomede, a destra, nello stesso quadro, regge per i capelli la testa decapitata del troiano, il cui travestimento giace a terra. Chiude la scena sulla miniatura il corpo di Dolone, al quale sono state amputate le membra, e Diomede, stante, in procinto di sguainare la spada. Se, infatti, come ha ben dimostrato Ranuccio Bianchi Bandinelli, il manoscritto deve essere datato intorno al V sec. d.C., i modelli pittorici di cui l’artista si è avvalso sarebbero molto più antichi e, deriverebbero da illustrazioni su rotulo di età ellenistica. L'Tliade ambrosiana, dunque, sia pure ascrivibile a un piano cronologico e culturale non sovrapponibile a quello degli scarabei etruschi, fornisce la prova iconografica della liceità di identificare in Odisseo e in Diomede i protagonisti delle scene di "maschalismos", ed in Dolone la loro vittima. Avviato a risoluzione il problema iconografico, la seconda parte dello studio cerca di decrittare quali messaggi veicolavano le due diverse iconografie analizzate, cioè la decapitazione ed il "maschalismos". La prima rientra in pieno nell'ambito della tradizione omerica, anzi potremmo dire ne costituisce la trascrizione visuale esatta anche per l'evidente privilegio accordato alla dimensione rituale, che sostanzia il libro IX dell'Iliade. Dolone, al pari di una vittima sacrificale, è sgozzato con un colpo di pugnale alla gola; inoltre le sue spoglie vengono offerte ad Atena come la pelle degli animali immolati, dedicata nei santuari. Questi scarabei, dunque, strettamente connessi al contesto cultuale e sacrificale del canto X dell'Iliade, possono essere letti come espressione della pietas del possessore, una virtù civile molto cara, sin dall'arcaismo, alla cultura etrusca definita da Livio (Liv. V. 1,6) maxime dedita religionibus. Ma non solo, è lecito supporre che la scelta di questo mito trovi una profonda giustificazione in una pratica bellica, connotata in senso rituale, di antichissima tradizione in Etruria: quella del cosiddetto "delitto religioso", ossia il sacrificio di prigionieri di guerra a fini espiatori per la morte di guerrieri membri del gruppo gentilizio e in particolare per onorarne il capo; una pratica che ben si presta al processo di ellenizzazione specialmente nella scelta di episodi mitici quali quello del sacrificio dei prigionieri troiani sulla tomba di Patroclo, o quello di Dolone con l'offerta del cadavere ad Atena. È possibile, tuttavia, che l'episodio doloniano rimandi anche ad un altro livello semantico, strettamente connesso con il rituale funerario, il quale risulta appropriato ai messaggi che i sigilli etruschi vogliono proporre. SegaI e Redfield hanno sottolineato l'importanza per l'epos iliadico del tema della mutilazione corporea, che assume una ampiezza sempre crescente nel susseguirsi dei canti, fino a culminare nelle sevizie inflitte da Achille al cadavere di Ettore. Tuttavia a questa climax ascendente non corrisponde un'uniformità negli esiti delle mutilazioni, che si risolvono secondo due direttrici divergenti. Dobbiamo a Vernant una puntuale disamina delle problematiche relative allegarne tra l'ideale di morte eroica e la mutilazione del corpo, che, attraverso l'imbruttimento e la degradazione dell'avversario, tende a negargli lo statuto di "bel morto". Si tratta di far scomparire dal corpo del guerriero quegli aspetti di giovinezza e bellezza che rappresentano i segni visibili della gloria. II corpo disarticolato, privo della sua unità formale col capo, irriconoscibile, derubato della sua condizione umana non potrà varcare le soglie dell' Ade per non avere avuto una degna sepoltura, né alcun mnema che perpetui il legame col mondo dei vivi e lo identifichi nella sua essenza sociale. Tale sorte sembra voler annunciare al proprio avversario in battaglia, colui che sceglie lo scarabeo con la decapitazione di Dolone, come proprio sigillo! Ad un diverso ambito ermeneutico rimandano, invece, le raffigurazioni con l'amputazione degli arti, già definite da Furtwànglerquali scene di "maschalismos. Le più antiche attestazioni del termine, contemporanee o di poco precedenti agli scarabei etruschi, si collocano nel contesto della tragedia eschilea e sofoclea. Tanto i versi citati delle Coefore quanto quelli del l'Elettra sembrano avvalorare l’ipotesi che l’amputazione degli arti riflettesse un’analoga mutilazione della sua anima, che la privava così della forza necessaria per la vendetta: il "maschalismos" sarebbe, dunque, gesto apotropaico, la cui rappresentazione su questa classe di materiali non è casuale, ma intimamente connessa con la stessa natura degli scarabei il cui potere "profilattico" è stato più volte segnato. Le gemme doloniane mi sembra apportino un'ulteriore prova del potere di talismano dello scarabeo e nello stesso tempo, in un processo di mutuo scambio semantico, proprio il valore di amuleto di questa gemma spiega la scelta di questo specifico mito e del suo rendimento in termini di "maschalismos". La pietra con l'immagine della mutilazione della spia troiana riflette credenze sulla sua facoltà di garantire l'incolumità del possessore anche dai pericoli della guerra e dai suoi atti cruenti. Per concludere sembra che gli incisori etruschi abbiano fatto ricorso ad un uso polisemico del mito di Dolone, attraverso due diverse iconografie, la decapitazione e l'amputazione delle membra, vettori, entrambe, di una pluralità di valori, pertinenti sia ad un ambito più propriamente cultuale, che a quello, non meno pregnante, relativo al destino del guerriero dopo la sua morte, né estraneo ai loro intenti sembra l'effetto "propiziatorio" o "scaramantico", che, anzi, appare adeguato all'oggetto dello scarabeo in sé.

Dolone fatto a pezzi

GIUDICE, ELVIA MARIA LETIZIA
2007-01-01

Abstract

Del tutto trascurato nella storia degli studi relativi agli scarabei etruschi è stato il tentativo di riconoscere 1'episodio omerico dell’agguato e dell’uccisione di Dolone, sebbene la rappresentazione di eroi greci, in questa classe di materiali, occupi un posto rilevante e Odisseo, in particolare, ritorni su ben 14 esemplari. Nel presente studio si analizzano un gruppo di gemme, connotate da pratiche e simboli rituali, nelle quali, a mio avviso è possibile riconoscere la doloneia. Mi riferisco ad alcuni scarabei classifica ti da Zazoff nel suo ricco catalogo tra i soggetti non riconosciuti, ma che lo studioso identifica, tuttavia, con scene di "mascnalismos", All'interno di questa silloge, alla luce di un'esegesi più puntuale, è possibile distinguere tre diversi schemi iconografici costruiti secondo moduli iconici, che vogliono suggerire la dinamicità di un atto ancora in corso. Nel primo un guerriero ha appena reciso la testa, ancora grondante di sangue, di una figura maschile, il cui corpo giace a terra ; nel secondo, l'atto cruento sembra essersi già consumato e l'eroe stante o seduto mostra il capo mozzato dell'avversario. L'ultimo schema, infine, aggiunge un particolare nuovo e certamente inatteso per i lettori dell'epos, particolare, che conferisce all'atto valenze funzionali diverse, visto che alla decapitazione segue la mutilazione del corpo dell'avversario, il "maschalismos secondo la terminologia già adottata da Furtwangler e ripresa da altri studiosi di gemme. Si tratta di tre scarabei caratterizzati da uno schema compositivo identico, nel quale sono due eroi nudi, in posizione simmetrica. Quello di destra, imberbe, regge il tronco di un corpo, dal quale è stato già reciso il capo e gli arti inferiori, mentre l'eroe di sinistra, con la spada sollevata, si accinge ad amputare quelli superiori. Se, dunque, le chiavi iconiche utilizzate (decapitazione in atto, o rappresentazione di un capo già reciso) sembrano veicolare un messaggio chiaro e possono essere considerate la trascrizione visuale dei versi omerici; più complessa appare l'ermeneutica delle scene di "maschalismos". Le valutazioni di carattere esegetico, in ogni caso, per una conferma della identificazione del mito. non possono prescindere dalla ricerca di una fonte figurativa o letteraria, che confermi il legame tra le nostre raffigurazioni e la Doloneia . L’lliade ambrosiana ci fornisce l'anello di congiunzione mancante: la miniatura XXXN narra in immagine gli eventi centrali della Doloneia in un'unica scena, in cui l'identificazione dei personaggi è resa certa dai nomi dipinti sopra i protagonisti, appaiono uniti in rapida successione paragonabile a una sequenza fotografica i due episodi della cattura e dell'uccisione della spia troiana. A sinistra Odisseo afferra Dolone, travestito da lupo, per il collo, alla presenza immobile dì Diomede, a destra, nello stesso quadro, regge per i capelli la testa decapitata del troiano, il cui travestimento giace a terra. Chiude la scena sulla miniatura il corpo di Dolone, al quale sono state amputate le membra, e Diomede, stante, in procinto di sguainare la spada. Se, infatti, come ha ben dimostrato Ranuccio Bianchi Bandinelli, il manoscritto deve essere datato intorno al V sec. d.C., i modelli pittorici di cui l’artista si è avvalso sarebbero molto più antichi e, deriverebbero da illustrazioni su rotulo di età ellenistica. L'Tliade ambrosiana, dunque, sia pure ascrivibile a un piano cronologico e culturale non sovrapponibile a quello degli scarabei etruschi, fornisce la prova iconografica della liceità di identificare in Odisseo e in Diomede i protagonisti delle scene di "maschalismos", ed in Dolone la loro vittima. Avviato a risoluzione il problema iconografico, la seconda parte dello studio cerca di decrittare quali messaggi veicolavano le due diverse iconografie analizzate, cioè la decapitazione ed il "maschalismos". La prima rientra in pieno nell'ambito della tradizione omerica, anzi potremmo dire ne costituisce la trascrizione visuale esatta anche per l'evidente privilegio accordato alla dimensione rituale, che sostanzia il libro IX dell'Iliade. Dolone, al pari di una vittima sacrificale, è sgozzato con un colpo di pugnale alla gola; inoltre le sue spoglie vengono offerte ad Atena come la pelle degli animali immolati, dedicata nei santuari. Questi scarabei, dunque, strettamente connessi al contesto cultuale e sacrificale del canto X dell'Iliade, possono essere letti come espressione della pietas del possessore, una virtù civile molto cara, sin dall'arcaismo, alla cultura etrusca definita da Livio (Liv. V. 1,6) maxime dedita religionibus. Ma non solo, è lecito supporre che la scelta di questo mito trovi una profonda giustificazione in una pratica bellica, connotata in senso rituale, di antichissima tradizione in Etruria: quella del cosiddetto "delitto religioso", ossia il sacrificio di prigionieri di guerra a fini espiatori per la morte di guerrieri membri del gruppo gentilizio e in particolare per onorarne il capo; una pratica che ben si presta al processo di ellenizzazione specialmente nella scelta di episodi mitici quali quello del sacrificio dei prigionieri troiani sulla tomba di Patroclo, o quello di Dolone con l'offerta del cadavere ad Atena. È possibile, tuttavia, che l'episodio doloniano rimandi anche ad un altro livello semantico, strettamente connesso con il rituale funerario, il quale risulta appropriato ai messaggi che i sigilli etruschi vogliono proporre. SegaI e Redfield hanno sottolineato l'importanza per l'epos iliadico del tema della mutilazione corporea, che assume una ampiezza sempre crescente nel susseguirsi dei canti, fino a culminare nelle sevizie inflitte da Achille al cadavere di Ettore. Tuttavia a questa climax ascendente non corrisponde un'uniformità negli esiti delle mutilazioni, che si risolvono secondo due direttrici divergenti. Dobbiamo a Vernant una puntuale disamina delle problematiche relative allegarne tra l'ideale di morte eroica e la mutilazione del corpo, che, attraverso l'imbruttimento e la degradazione dell'avversario, tende a negargli lo statuto di "bel morto". Si tratta di far scomparire dal corpo del guerriero quegli aspetti di giovinezza e bellezza che rappresentano i segni visibili della gloria. II corpo disarticolato, privo della sua unità formale col capo, irriconoscibile, derubato della sua condizione umana non potrà varcare le soglie dell' Ade per non avere avuto una degna sepoltura, né alcun mnema che perpetui il legame col mondo dei vivi e lo identifichi nella sua essenza sociale. Tale sorte sembra voler annunciare al proprio avversario in battaglia, colui che sceglie lo scarabeo con la decapitazione di Dolone, come proprio sigillo! Ad un diverso ambito ermeneutico rimandano, invece, le raffigurazioni con l'amputazione degli arti, già definite da Furtwànglerquali scene di "maschalismos. Le più antiche attestazioni del termine, contemporanee o di poco precedenti agli scarabei etruschi, si collocano nel contesto della tragedia eschilea e sofoclea. Tanto i versi citati delle Coefore quanto quelli del l'Elettra sembrano avvalorare l’ipotesi che l’amputazione degli arti riflettesse un’analoga mutilazione della sua anima, che la privava così della forza necessaria per la vendetta: il "maschalismos" sarebbe, dunque, gesto apotropaico, la cui rappresentazione su questa classe di materiali non è casuale, ma intimamente connessa con la stessa natura degli scarabei il cui potere "profilattico" è stato più volte segnato. Le gemme doloniane mi sembra apportino un'ulteriore prova del potere di talismano dello scarabeo e nello stesso tempo, in un processo di mutuo scambio semantico, proprio il valore di amuleto di questa gemma spiega la scelta di questo specifico mito e del suo rendimento in termini di "maschalismos". La pietra con l'immagine della mutilazione della spia troiana riflette credenze sulla sua facoltà di garantire l'incolumità del possessore anche dai pericoli della guerra e dai suoi atti cruenti. Per concludere sembra che gli incisori etruschi abbiano fatto ricorso ad un uso polisemico del mito di Dolone, attraverso due diverse iconografie, la decapitazione e l'amputazione delle membra, vettori, entrambe, di una pluralità di valori, pertinenti sia ad un ambito più propriamente cultuale, che a quello, non meno pregnante, relativo al destino del guerriero dopo la sua morte, né estraneo ai loro intenti sembra l'effetto "propiziatorio" o "scaramantico", che, anzi, appare adeguato all'oggetto dello scarabeo in sé.
2007
glittica etrusca
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