Forse nella scrittura teatrale più che in quella narrativa è percepibile la spasmodica ricerca di simmetrie di soggetto e forma nell’inesausta sperimentazione compositiva verghiana. Senza entrare nella dibattuta questione della gerarchia dei generi testuali della scrittura letteraria nella coscienza creativa del Verga, il saggio intende richiamare l’attenzione sulla costante compresenza di istanze tematico-espressive nella sua ricerca di scrittore. In tal senso Cavalleria rusticana e In portineria rappresentano le linee di uno sviluppo sinusoidale, due testi in cui moduli e motivi si rincorrono e si ripropongono con simmetria quasi ossessiva, risultato di una progettualità ricorsiva, tenace e coraggiosa, la cui radicalità e pervicacia è tutta affidata alle lettere del triennio 1885-1888 che ne scandiscono tempi di attuazione. L’opera del Verga narratore e drammaturgo si caratterizza proprio per l’insopprimibile ansia di verifica, scomponendosi in corsi e ricorsi tematici e ambientali, pur nell’unità del metodo acquisito. In questa prospettiva anzi lo scrivere per il palcoscenico, che più del libro e della novella implica un rapporto ideologicamente responsabile col pubblico e la società, consente di meglio precisare il segreto impasto, in Verga, di ideologia e concreta sperimentazione stilistica. Basti pensare alla trilogia di drammi composta da Cavalleria rusticana, In portineria e La commedia dell’amore, anch’essa pensata come trasposizione teatrale della novella I drammi ignoti, poi confluita nella raccolta Drammi intimi, coeva a Per le vie. Il parallelo più immediato si può istituire comunque tra Cavalleria rusticana, In portineria, persino nella puntuale alternanza di stampe e ristampe, per cui alla rappresentazione scenica seguiva, con esemplare tempismo editoriale, la pubblicazione del copione teatrale e la ripubblicazione del testo novellistico di partenza. Un’altra sfumatura da sottolineare è proprio la concomitanza di testi situati in ambienti socialmente antipodici o – come nel nostro caso – contigui anzi compresenti nella vita popolare che caratterizza, con il conseguente adeguamento psicoespressivo, la ricerca letteraria verghiana. Nel saggio, preliminarmente all’analisi linguistica, si inquadrano nella caratterizzazione di genere tra scrittura narrativa e scrittura teatrale i due testi, etichettati variamente dallo stesso autore («commedia villereccia», «dramma» o «scene popolari»), a sottolineare l’identità e l’univocità di intenti compositivi e di programmazione stilistica che, in effetti, sembra animare la scrittura di Cavalleria rusticana e di In portineria come facce di una stessa medaglia socioletteraria. Nel transcodificare insomma le due novelle più teatralizzabili di Vita dei campi e di Per le vie per ottenere, con adeguati «riscontri formali», effetti di specularità e rispecchiamento del mondo campestre-popolare, il Verga sembra puntare, secondo un costume stilistico già esperito nei Malavoglia, sulla riconversione di moduli collaudati, sottoposti a puntuale – e il più delle volte riuscito – riadeguamento diafasico, cioè di registri espressivi, e diatopico, cioè di collocazione spaziale e ambientale. In sostanza, nel procedere alla stesura del «drammettino» popolare In portineria a partire da Il canarino del n.° 15, lo scrittore non faceva altro che cercare di riprodurre con adattamenti all’ambiente suburbano milanese le strategie discorsive e le tecniche testuali già con successo sperimentate per la riscrittura drammaturgica di Cavalleria rusticana. Dando per scontate tutte le coordinate storico-critiche sul progetto verghiano-capuaniano di un teatro verista commisurato alle istanze identitarie dell’Italia postunitaria che, ritraendone le caratteristiche ambientali, psicologiche e di costume, riuscisse a coinvolgere come pubblico tutta la società nazionale, si verifica dall’interno del testo, scrutato nella sua materialità espressiva, la resa delle istanze realistiche. Nel desolante e piatto panorama tematico ed espressivo del teatro borghese, la coloritura regionale è da considerarsi scelta deliberata in entrambi i contesti ambientali affrontati, rusticano e suburbano. Verga elaborava così una lingua di mediazione, accessibile a tutti, diversificata negli stilemi, nei nessi sintattici, nei modi e nelle parole, significativi del mondo in cui si muovevano i personaggi. Sul piano metodologico poi si applica ai due testi la definizione che Stefania Stefanelli ha dato della lingua teatrale come «lingua particolare», la cui espressività non può essere misurata né sui parametri di giudizio validi per la lingua poetica e narrativa, né su quelli validi per il parlato spontaneo, ma, su un piano di oggettiva diacronia stilistica, sulle possibilità offerte alla scrittura drammaturgica dalla lingua storicamente determinata nella quale essa si esprime. In questo caso tale lingua si identifica coll’italiano postunitario, articolato in toscano letterario, toscano parlato e dialetti (siciliano e milanese), tenendo sullo sfondo la produzione drammaturgica postunitaria fra Otto e Novecento, divisa tra soluzioni postmanzoniane e soluzioni veristiche. L’ipotesi di base dell’analisi socio-stilistica attuata nel saggio è che lo studio del testo intimistico di In portineria si possa impostare sulle medesime categorie stilistico-interpretative applicabili alla testualità marcatamente realistica di Cavalleria rusticana. Da un minuzioso esame testuale si sono potuti rilevare numerosi tratti collimanti emersi dalla schedatura dei due testi, operata secondo precise rubricazioni dei fenomeni: fattori diafasici (tratti allocutivi e dati socio-ambientali); dati idiomatici
 e dialettismi (lessicali, sintagmatici e sintattici); siculo-toscanismi e tosco-milanesismi; settentrionalismi; toscanismi; stereotipi “popolari” delocalizzati; codice gestuale; linguaggio figurato e formulare; metonimie; metafore; iperboli; linguaggio religioso; linguaggio formulare o connotato etnicamente e socialmente; tratti mimetici del parlato; strategie stilistico-retoriche; elementi scenici; stilemi intertestuali. All’esposizione schematica dei risultati in apposite tabelle sinottiche si fa seguire il commento degli esempi di particolare rilievo stilistico, come il modulo vi adorna la casa che traduce vi azzizza a casa nella famosa battuta delatoria di Santuzza, per marcare allusivamente, con rima in absentia, le corna che Lola mette ad Alfio. In Cavalleria rusticana in definitiva si cumulano modalità della caratterizzazione diatopica e della caratterizzazione diamesica, con effetti di un parlato quasi cantato, punteggiato da marcature sintattiche tipiche dell’oralità (come le ridondanze pronominali o i costrutti nominali, il ci attualizzante, il che polivalente, l’indicativo per il congiuntivo nelle subordinate, gli anacoluti e le dislocazioni), e da marcature regionali siculo-toscane come i che introduttori di interrogative o univocamente siciliane, come il verbo in fondo agli enunciati o le frasi foderate. Il procedimento si estendeva a In portineria, in cui il parlato popolare veniva realizzato o con moduli fiorentineggianti o con costrutti meridionali trapiantati come «il mio onore non lo voglio toccato!» del sor Battista. Si tratta in definitiva di un parlato di impronta regionale, in cui però la componente toscana riequilibra nell’andamento sintattico e nella posologia lessicale il testo, portandolo nella direzione dell’italiano ‘colorato’ di siciliano, ma italiano, e comprensibile a tutti, che il Verga ricercava anche per i testi narrativi coevi a Cavalleria. La medesima o similare fenomenologia si riscontra nel testo sceneggiato di In portineria, che riflette la concezione originaria del dramma volutamente piatto, senza forti rilievi tipologici, in consonanza con la poetica teatrale verista imperniata nella ricerca del non effetto. I possibili raccordi tra le due sperimentazioni drammaturgiche, rusticana e suburbana, sono innanzitutto di natura strutturale, per cui Cavalleria e In portineria condividono una struttura centrale animatrice rappresentata dalla collettività, con le sue convenzioni pseudo-morali a cui si contrappone l’individuo. Non meno efficace che in entrambi i testi la caratterizzazione affidata a dati socioetnici garantisca la rispondenza socioambientale. In tal senso assume un ruolo prioritario l’onomastica e la concomitante serie di allocutivi, nonché la ricorrenza di stereotipi popolari, come la diffidenza verso il medico e la fiducia nelle figure magico-scaramantiche o la gestualità tipizzante, a dimostrazione della riciclabilità di tutti i dati estrinseci del folclorismo ambientale, a prescindere dalla situazione rurale o suburbana della caratterizzazione popolare. Interscambiabile anche la funzione del dato idiomatico, regionale (siciliano o milanese), simmetricamente conguagliato dal toscanismo, persino nei ritmi tonetici, in un caso con la cadenza sicilianeggiante, nell’altro con la cadenza fiorentina popolareggiante. Si rivela davvero cruciale perciò l’esperienza di In portineria, la cui facies stilistica appare caratterizzata da un intersecarsi di procedure e soluzioni già sperimentate dal Verga nei testi narrativi e teatrali precedenti, ricomposte nel duplice e simultaneo esplicarsi di registro rusticano e registro suburbano nello stile sceneggiato ‘popolare’. La continuità dunque nell’attività letteraria del Verga è data dalla ricerca di metodo e non dall’estrinseca dislocazione ambientale, ma dall’intrinseca riconvertibilità delle procedure di rappresentazione diegetica (nella scrittura narrativa) e dialogica (nella scrittura teatrale) in un’inimitabile soluzione espressiva.

"Scene popolari" verghiane tra "commedia villerecccia" e "drammettino" suburbano: lettura sinottica di "Cavalleria rusticana" e "In portineria"

ALFIERI G;
2009-01-01

Abstract

Forse nella scrittura teatrale più che in quella narrativa è percepibile la spasmodica ricerca di simmetrie di soggetto e forma nell’inesausta sperimentazione compositiva verghiana. Senza entrare nella dibattuta questione della gerarchia dei generi testuali della scrittura letteraria nella coscienza creativa del Verga, il saggio intende richiamare l’attenzione sulla costante compresenza di istanze tematico-espressive nella sua ricerca di scrittore. In tal senso Cavalleria rusticana e In portineria rappresentano le linee di uno sviluppo sinusoidale, due testi in cui moduli e motivi si rincorrono e si ripropongono con simmetria quasi ossessiva, risultato di una progettualità ricorsiva, tenace e coraggiosa, la cui radicalità e pervicacia è tutta affidata alle lettere del triennio 1885-1888 che ne scandiscono tempi di attuazione. L’opera del Verga narratore e drammaturgo si caratterizza proprio per l’insopprimibile ansia di verifica, scomponendosi in corsi e ricorsi tematici e ambientali, pur nell’unità del metodo acquisito. In questa prospettiva anzi lo scrivere per il palcoscenico, che più del libro e della novella implica un rapporto ideologicamente responsabile col pubblico e la società, consente di meglio precisare il segreto impasto, in Verga, di ideologia e concreta sperimentazione stilistica. Basti pensare alla trilogia di drammi composta da Cavalleria rusticana, In portineria e La commedia dell’amore, anch’essa pensata come trasposizione teatrale della novella I drammi ignoti, poi confluita nella raccolta Drammi intimi, coeva a Per le vie. Il parallelo più immediato si può istituire comunque tra Cavalleria rusticana, In portineria, persino nella puntuale alternanza di stampe e ristampe, per cui alla rappresentazione scenica seguiva, con esemplare tempismo editoriale, la pubblicazione del copione teatrale e la ripubblicazione del testo novellistico di partenza. Un’altra sfumatura da sottolineare è proprio la concomitanza di testi situati in ambienti socialmente antipodici o – come nel nostro caso – contigui anzi compresenti nella vita popolare che caratterizza, con il conseguente adeguamento psicoespressivo, la ricerca letteraria verghiana. Nel saggio, preliminarmente all’analisi linguistica, si inquadrano nella caratterizzazione di genere tra scrittura narrativa e scrittura teatrale i due testi, etichettati variamente dallo stesso autore («commedia villereccia», «dramma» o «scene popolari»), a sottolineare l’identità e l’univocità di intenti compositivi e di programmazione stilistica che, in effetti, sembra animare la scrittura di Cavalleria rusticana e di In portineria come facce di una stessa medaglia socioletteraria. Nel transcodificare insomma le due novelle più teatralizzabili di Vita dei campi e di Per le vie per ottenere, con adeguati «riscontri formali», effetti di specularità e rispecchiamento del mondo campestre-popolare, il Verga sembra puntare, secondo un costume stilistico già esperito nei Malavoglia, sulla riconversione di moduli collaudati, sottoposti a puntuale – e il più delle volte riuscito – riadeguamento diafasico, cioè di registri espressivi, e diatopico, cioè di collocazione spaziale e ambientale. In sostanza, nel procedere alla stesura del «drammettino» popolare In portineria a partire da Il canarino del n.° 15, lo scrittore non faceva altro che cercare di riprodurre con adattamenti all’ambiente suburbano milanese le strategie discorsive e le tecniche testuali già con successo sperimentate per la riscrittura drammaturgica di Cavalleria rusticana. Dando per scontate tutte le coordinate storico-critiche sul progetto verghiano-capuaniano di un teatro verista commisurato alle istanze identitarie dell’Italia postunitaria che, ritraendone le caratteristiche ambientali, psicologiche e di costume, riuscisse a coinvolgere come pubblico tutta la società nazionale, si verifica dall’interno del testo, scrutato nella sua materialità espressiva, la resa delle istanze realistiche. Nel desolante e piatto panorama tematico ed espressivo del teatro borghese, la coloritura regionale è da considerarsi scelta deliberata in entrambi i contesti ambientali affrontati, rusticano e suburbano. Verga elaborava così una lingua di mediazione, accessibile a tutti, diversificata negli stilemi, nei nessi sintattici, nei modi e nelle parole, significativi del mondo in cui si muovevano i personaggi. Sul piano metodologico poi si applica ai due testi la definizione che Stefania Stefanelli ha dato della lingua teatrale come «lingua particolare», la cui espressività non può essere misurata né sui parametri di giudizio validi per la lingua poetica e narrativa, né su quelli validi per il parlato spontaneo, ma, su un piano di oggettiva diacronia stilistica, sulle possibilità offerte alla scrittura drammaturgica dalla lingua storicamente determinata nella quale essa si esprime. In questo caso tale lingua si identifica coll’italiano postunitario, articolato in toscano letterario, toscano parlato e dialetti (siciliano e milanese), tenendo sullo sfondo la produzione drammaturgica postunitaria fra Otto e Novecento, divisa tra soluzioni postmanzoniane e soluzioni veristiche. L’ipotesi di base dell’analisi socio-stilistica attuata nel saggio è che lo studio del testo intimistico di In portineria si possa impostare sulle medesime categorie stilistico-interpretative applicabili alla testualità marcatamente realistica di Cavalleria rusticana. Da un minuzioso esame testuale si sono potuti rilevare numerosi tratti collimanti emersi dalla schedatura dei due testi, operata secondo precise rubricazioni dei fenomeni: fattori diafasici (tratti allocutivi e dati socio-ambientali); dati idiomatici
 e dialettismi (lessicali, sintagmatici e sintattici); siculo-toscanismi e tosco-milanesismi; settentrionalismi; toscanismi; stereotipi “popolari” delocalizzati; codice gestuale; linguaggio figurato e formulare; metonimie; metafore; iperboli; linguaggio religioso; linguaggio formulare o connotato etnicamente e socialmente; tratti mimetici del parlato; strategie stilistico-retoriche; elementi scenici; stilemi intertestuali. All’esposizione schematica dei risultati in apposite tabelle sinottiche si fa seguire il commento degli esempi di particolare rilievo stilistico, come il modulo vi adorna la casa che traduce vi azzizza a casa nella famosa battuta delatoria di Santuzza, per marcare allusivamente, con rima in absentia, le corna che Lola mette ad Alfio. In Cavalleria rusticana in definitiva si cumulano modalità della caratterizzazione diatopica e della caratterizzazione diamesica, con effetti di un parlato quasi cantato, punteggiato da marcature sintattiche tipiche dell’oralità (come le ridondanze pronominali o i costrutti nominali, il ci attualizzante, il che polivalente, l’indicativo per il congiuntivo nelle subordinate, gli anacoluti e le dislocazioni), e da marcature regionali siculo-toscane come i che introduttori di interrogative o univocamente siciliane, come il verbo in fondo agli enunciati o le frasi foderate. Il procedimento si estendeva a In portineria, in cui il parlato popolare veniva realizzato o con moduli fiorentineggianti o con costrutti meridionali trapiantati come «il mio onore non lo voglio toccato!» del sor Battista. Si tratta in definitiva di un parlato di impronta regionale, in cui però la componente toscana riequilibra nell’andamento sintattico e nella posologia lessicale il testo, portandolo nella direzione dell’italiano ‘colorato’ di siciliano, ma italiano, e comprensibile a tutti, che il Verga ricercava anche per i testi narrativi coevi a Cavalleria. La medesima o similare fenomenologia si riscontra nel testo sceneggiato di In portineria, che riflette la concezione originaria del dramma volutamente piatto, senza forti rilievi tipologici, in consonanza con la poetica teatrale verista imperniata nella ricerca del non effetto. I possibili raccordi tra le due sperimentazioni drammaturgiche, rusticana e suburbana, sono innanzitutto di natura strutturale, per cui Cavalleria e In portineria condividono una struttura centrale animatrice rappresentata dalla collettività, con le sue convenzioni pseudo-morali a cui si contrappone l’individuo. Non meno efficace che in entrambi i testi la caratterizzazione affidata a dati socioetnici garantisca la rispondenza socioambientale. In tal senso assume un ruolo prioritario l’onomastica e la concomitante serie di allocutivi, nonché la ricorrenza di stereotipi popolari, come la diffidenza verso il medico e la fiducia nelle figure magico-scaramantiche o la gestualità tipizzante, a dimostrazione della riciclabilità di tutti i dati estrinseci del folclorismo ambientale, a prescindere dalla situazione rurale o suburbana della caratterizzazione popolare. Interscambiabile anche la funzione del dato idiomatico, regionale (siciliano o milanese), simmetricamente conguagliato dal toscanismo, persino nei ritmi tonetici, in un caso con la cadenza sicilianeggiante, nell’altro con la cadenza fiorentina popolareggiante. Si rivela davvero cruciale perciò l’esperienza di In portineria, la cui facies stilistica appare caratterizzata da un intersecarsi di procedure e soluzioni già sperimentate dal Verga nei testi narrativi e teatrali precedenti, ricomposte nel duplice e simultaneo esplicarsi di registro rusticano e registro suburbano nello stile sceneggiato ‘popolare’. La continuità dunque nell’attività letteraria del Verga è data dalla ricerca di metodo e non dall’estrinseca dislocazione ambientale, ma dall’intrinseca riconvertibilità delle procedure di rappresentazione diegetica (nella scrittura narrativa) e dialogica (nella scrittura teatrale) in un’inimitabile soluzione espressiva.
2009
978-88-7642-363-5
Teatro verista, Lingua, Escursioni di registro, Commedia, Dialetto
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