Realismo e ipostatizzazione dell'utopia sono due orientamenti filosofici e due "chanches" della letteratura. Come opzioni letterarie trovano sede idonea, anche se non esclusiva e non sempre privilegiata, nella narrativa. Con queste opzioni, infatti, il romanzo italiano del Novecento si è ripetutamente paragonato. Non vi ha dedicato, tuttavia, pari attenzione. Da noi, il genere utopico ha goduto tiepide fortune - tiepide, s'intende, ai piani alti della produzione e fruizione - senza divenire seriamente concorrenziale. Questo modo di impostare le cose lascia però insoddisfatti. Il nesso fra realismo e realtà è tutt'altro che scontato: non sempre il primo termine implica un atteggiamento di cordiale accettazione del secondo. Autori che si vogliono realisti, e come tali vengono annoverati, nutrono poi un forte malcontento nei confronti del loro oggetto, tanto da pronunziarsi contro il mondo nell'atto stesso in cui lo rappresentano. L'utopia, per converso, non si esaurisce nella letteratura utopica in senzo stretto, relativa a luoghi fuori del nostro tempo e/o del nostro spazio (se non della storia e della geografia tout court), manifesta invece una spiccata vocazione colonizzatrice e sfonda spesso i propri confini di "genere". Opere che la critica etichetta come realistiche, per l'ambientazione ben riconoscibile e perfino ricalcata sul referente sociologico, possono ospitare protagonisti orientati verso un universo radicalmente altro e decisi a spendersi per affrettarne l'avvento o comunque per custodirne la nostalgia. Gli scrittori esaminati, Mignosi, Silone, Pomilio, Eco, Doninelli, rappresentano incarnazioni diverse dell'uno o dell'altro polo in questione, o della contaminazione fra questi poli. Mignosi interessa qui in quanto esprime, secondo la sua misura, quel ritorno al realismo e al Verga che albeggia, ancora in controtendenza, negli anni Venti e Trenta, a rivendicazione di valori morali ed espressivi trascurati dalla sensibilità dominante. Il riferimento polemico che Mignosi elegge è peraltro una filosofia piuttosto che una poetica, vale a dire la dottrina del neoidealismo, allora all'apice delle proprie fortune. Recuperare la lezione verista significa per Mignosi portare anche sul terreno della letteratura una sfida lanciata in ambito teoretico. Silone e Pomilio sono a loro volta assai sensibili al grande realismo italiano ed europeo. Il primo, anzi, può esser ricondotto alla pattuglia che fra le due guerre promuove il recupero di quella tradizione. Pomilio si sbilancia maggiormente verso l'immaginario; ma non dissolve per questo il radicamento sociale di personaggi e vicende. Tanto nell'uno quanto nell'altro, tuttavia, si sorprendono venature utopiche. Questi due scrittori esprimono insomma un realismo che nutre verso la configurazione presente una forte riserva; prossimo in questo all'utopia, che anche nella sua forma canonica, inerente ai "pays de nulle part", sottintende una forte critica verso l'assetto sociale dato, e non esclude l'eventuale esplicitazione di un simile risentimento, il ricorso alla protesta e alla satira. Non deve apparire eccentrico, in questa sede, un sondaggio su narrazioni prodotte nel Novecento ma ambientate nel passato, in particolare nel Medioevo, come "L'avventura d'un povero cristiano" di Silone o "Il nome della rosa" di Eco (e sono in gioco anche segmenti cospicui del "Quinto evangelio" di Pomilio). Qualche autorevole mentore del genere utopico raccomanda oggi di tralasciare le previsioni del passato e promuovere le archeologie del futuro. Eppure lo sfondo medievale può consentire l'aggancio di un filone profetistico: è quel che si verifica in Silone, Pomilio e Umberto Eco, curiosi, a vario titolo, di Gioacchino da Fiore e del gioachimismo. Così la narrazione retroversa, con tutti i suoi vincoli nei confronti della storia, con tutto il tributo che deve pagare all'erudizione, allo studio della fonti, alla rigorosa filologia, finisce per trovare nel mondo che è stato la tensione al mondo che sarà. Incarnando, da parte sua, una rinnovata esigenza di realtà, Luca Doninelli ha rivissuto tale esigenza fuori da ogni condizionamento veristico; nel suo patrimonio genetico vi è semmai il romanzo psicologico, con le tipiche misurazioni della vita interiore. La consegna di un'attenzione al dato vale qui nel senso più ampio, ma anche più essenziale, di tenace lealtà verso l'esistente, senza sconfinamenti, appunto, nell'utopico. Non dissimulata l'idiosincrasia di Doninelli verso quegli intellettuali che immaginano mondi patinati, senza mai distogliersi dalla loro concentrazione su quel che non esiste. L'adesione a quanto accade è in questo scrittore perseguita con la coscienza che si tratta, oggi più che mai, di una scelta difficile, data la diffusa tendenza a schivare l'asprezza del presente, in nome delle impalpabili campate del sogno, del futuribile, della pianificazione. Ma è preferibile, per Doninelli, spiare senza distrarsi la terra desolata in cui ci troviamo, per sorprendere in essa l'unica salvezza che può effettivamente giovare, se mai affiori.

Realtà, utopia, romanzo

CRISTALDI, Sergio Alfio Maria
2006-01-01

Abstract

Realismo e ipostatizzazione dell'utopia sono due orientamenti filosofici e due "chanches" della letteratura. Come opzioni letterarie trovano sede idonea, anche se non esclusiva e non sempre privilegiata, nella narrativa. Con queste opzioni, infatti, il romanzo italiano del Novecento si è ripetutamente paragonato. Non vi ha dedicato, tuttavia, pari attenzione. Da noi, il genere utopico ha goduto tiepide fortune - tiepide, s'intende, ai piani alti della produzione e fruizione - senza divenire seriamente concorrenziale. Questo modo di impostare le cose lascia però insoddisfatti. Il nesso fra realismo e realtà è tutt'altro che scontato: non sempre il primo termine implica un atteggiamento di cordiale accettazione del secondo. Autori che si vogliono realisti, e come tali vengono annoverati, nutrono poi un forte malcontento nei confronti del loro oggetto, tanto da pronunziarsi contro il mondo nell'atto stesso in cui lo rappresentano. L'utopia, per converso, non si esaurisce nella letteratura utopica in senzo stretto, relativa a luoghi fuori del nostro tempo e/o del nostro spazio (se non della storia e della geografia tout court), manifesta invece una spiccata vocazione colonizzatrice e sfonda spesso i propri confini di "genere". Opere che la critica etichetta come realistiche, per l'ambientazione ben riconoscibile e perfino ricalcata sul referente sociologico, possono ospitare protagonisti orientati verso un universo radicalmente altro e decisi a spendersi per affrettarne l'avvento o comunque per custodirne la nostalgia. Gli scrittori esaminati, Mignosi, Silone, Pomilio, Eco, Doninelli, rappresentano incarnazioni diverse dell'uno o dell'altro polo in questione, o della contaminazione fra questi poli. Mignosi interessa qui in quanto esprime, secondo la sua misura, quel ritorno al realismo e al Verga che albeggia, ancora in controtendenza, negli anni Venti e Trenta, a rivendicazione di valori morali ed espressivi trascurati dalla sensibilità dominante. Il riferimento polemico che Mignosi elegge è peraltro una filosofia piuttosto che una poetica, vale a dire la dottrina del neoidealismo, allora all'apice delle proprie fortune. Recuperare la lezione verista significa per Mignosi portare anche sul terreno della letteratura una sfida lanciata in ambito teoretico. Silone e Pomilio sono a loro volta assai sensibili al grande realismo italiano ed europeo. Il primo, anzi, può esser ricondotto alla pattuglia che fra le due guerre promuove il recupero di quella tradizione. Pomilio si sbilancia maggiormente verso l'immaginario; ma non dissolve per questo il radicamento sociale di personaggi e vicende. Tanto nell'uno quanto nell'altro, tuttavia, si sorprendono venature utopiche. Questi due scrittori esprimono insomma un realismo che nutre verso la configurazione presente una forte riserva; prossimo in questo all'utopia, che anche nella sua forma canonica, inerente ai "pays de nulle part", sottintende una forte critica verso l'assetto sociale dato, e non esclude l'eventuale esplicitazione di un simile risentimento, il ricorso alla protesta e alla satira. Non deve apparire eccentrico, in questa sede, un sondaggio su narrazioni prodotte nel Novecento ma ambientate nel passato, in particolare nel Medioevo, come "L'avventura d'un povero cristiano" di Silone o "Il nome della rosa" di Eco (e sono in gioco anche segmenti cospicui del "Quinto evangelio" di Pomilio). Qualche autorevole mentore del genere utopico raccomanda oggi di tralasciare le previsioni del passato e promuovere le archeologie del futuro. Eppure lo sfondo medievale può consentire l'aggancio di un filone profetistico: è quel che si verifica in Silone, Pomilio e Umberto Eco, curiosi, a vario titolo, di Gioacchino da Fiore e del gioachimismo. Così la narrazione retroversa, con tutti i suoi vincoli nei confronti della storia, con tutto il tributo che deve pagare all'erudizione, allo studio della fonti, alla rigorosa filologia, finisce per trovare nel mondo che è stato la tensione al mondo che sarà. Incarnando, da parte sua, una rinnovata esigenza di realtà, Luca Doninelli ha rivissuto tale esigenza fuori da ogni condizionamento veristico; nel suo patrimonio genetico vi è semmai il romanzo psicologico, con le tipiche misurazioni della vita interiore. La consegna di un'attenzione al dato vale qui nel senso più ampio, ma anche più essenziale, di tenace lealtà verso l'esistente, senza sconfinamenti, appunto, nell'utopico. Non dissimulata l'idiosincrasia di Doninelli verso quegli intellettuali che immaginano mondi patinati, senza mai distogliersi dalla loro concentrazione su quel che non esiste. L'adesione a quanto accade è in questo scrittore perseguita con la coscienza che si tratta, oggi più che mai, di una scelta difficile, data la diffusa tendenza a schivare l'asprezza del presente, in nome delle impalpabili campate del sogno, del futuribile, della pianificazione. Ma è preferibile, per Doninelli, spiare senza distrarsi la terra desolata in cui ci troviamo, per sorprendere in essa l'unica salvezza che può effettivamente giovare, se mai affiori.
2006
978-88-95104-18-8
Realismo; Genere utopico; Novecento
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.11769/100478
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