Tra la metà degli anni Venti e lo scoppio della seconda guerra mondiale, la politica economica del governo fascista evidenziava l’inopportunità d’incoraggiare sviluppi regionali che non fossero orientati al raggiungimento del massimo risultato a livello nazionale. Furono, in particolare, le politiche ad indirizzo autarchico ad accentuare pesantemente i divari regionali nei livelli di sviluppo, con indubbie conseguenze sui livelli qualitativi e quantitativi dell’erogazione dei servizi bancari, dei trasporti e del terziario in genere. A questo punto appare, quanto mai, interessante osservare come l’offerta del credito si muovesse in parallelo con le aspettative governative in materia di sviluppo della Sicilia. L’attività creditizia diviene, al medesimo tempo, creatura e genitrice dell’evoluzione in atto, in un contesto in cui il governo si arrogava pieni diritti e poteri di controllo sulle attività economiche, muovendosi, peraltro, senza quegli intoppi che frenano le scelte negli stati democratici. Il governo riusciva in larga misura ad imporre la sua volontà, servendosi del settore del credito, soprattutto di quello agevolato erogato dai due principali istituti di credito siciliani, il Banco di Sicilia e la Cassa di Risparmio. Le relazioni presentate annualmente dai due istituti offrono uno spaccato della politica del regime in relazione allo sviluppo economico della Sicilia, laddove, per un’esigenza di razionalizzazione del consumo energetico nazionale, risultò una scelta obbligata quella di orientare lo sviluppo dell’Isola verso l’agricoltura, le industrie agro-alimentari, il turismo ed il commercio, tranne eccezioni bene identificate e circoscritte, quali quella delle industrie estrattive, cui si destinava un trattamento particolare. In linea generale, si nota una grande coerenza tra la politica creditizia e gli obiettivi politici del fascismo, anche con riferimento all’attività commerciale, in linea con la politica tariffaria dei noli marittimi, non congegnata in modo tale che dalla maggiore vicinanza a molti mercati del Mediterraneo potessero esserne tratti i dovuti vantaggi. In definitiva, la pochezza dell’attività creditizia in materia di credito commerciale contrastava soltanto con “l’oratoria” demagogica del regime, che attribuiva alla Sicilia un ruolo chiave nell’ambito dei traffici del Mediterraneo.

L'attività creditizia in Sicilia, nell'ottica della politica fascista

CASSAR, Silvana
2007-01-01

Abstract

Tra la metà degli anni Venti e lo scoppio della seconda guerra mondiale, la politica economica del governo fascista evidenziava l’inopportunità d’incoraggiare sviluppi regionali che non fossero orientati al raggiungimento del massimo risultato a livello nazionale. Furono, in particolare, le politiche ad indirizzo autarchico ad accentuare pesantemente i divari regionali nei livelli di sviluppo, con indubbie conseguenze sui livelli qualitativi e quantitativi dell’erogazione dei servizi bancari, dei trasporti e del terziario in genere. A questo punto appare, quanto mai, interessante osservare come l’offerta del credito si muovesse in parallelo con le aspettative governative in materia di sviluppo della Sicilia. L’attività creditizia diviene, al medesimo tempo, creatura e genitrice dell’evoluzione in atto, in un contesto in cui il governo si arrogava pieni diritti e poteri di controllo sulle attività economiche, muovendosi, peraltro, senza quegli intoppi che frenano le scelte negli stati democratici. Il governo riusciva in larga misura ad imporre la sua volontà, servendosi del settore del credito, soprattutto di quello agevolato erogato dai due principali istituti di credito siciliani, il Banco di Sicilia e la Cassa di Risparmio. Le relazioni presentate annualmente dai due istituti offrono uno spaccato della politica del regime in relazione allo sviluppo economico della Sicilia, laddove, per un’esigenza di razionalizzazione del consumo energetico nazionale, risultò una scelta obbligata quella di orientare lo sviluppo dell’Isola verso l’agricoltura, le industrie agro-alimentari, il turismo ed il commercio, tranne eccezioni bene identificate e circoscritte, quali quella delle industrie estrattive, cui si destinava un trattamento particolare. In linea generale, si nota una grande coerenza tra la politica creditizia e gli obiettivi politici del fascismo, anche con riferimento all’attività commerciale, in linea con la politica tariffaria dei noli marittimi, non congegnata in modo tale che dalla maggiore vicinanza a molti mercati del Mediterraneo potessero esserne tratti i dovuti vantaggi. In definitiva, la pochezza dell’attività creditizia in materia di credito commerciale contrastava soltanto con “l’oratoria” demagogica del regime, che attribuiva alla Sicilia un ruolo chiave nell’ambito dei traffici del Mediterraneo.
2007
88-8422-640-6
credito; Sicilia; fascismo
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.11769/103353
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