Abbiamo ancora bisogno di opere monografiche su Dante, di trattazioni sistematiche che investano complessivamente la sua carriera, la sua produzione, o che comunque affrontino un tema in maniera organica e tendenzialmente esaustiva? Oppure è giunto il tempo degli assaggi settoriali, meno imponenti, meno pretenziosi, forse dotati di maggiore aderenza nella loro dimessa frammentarietà che non si arroga la pretesa di dominare l'intero, e umilmente tenta di misurare questo o quel segmento, l'una o l'altra sporgenza? Posta in questi termini, l'alternativa è fuorviante e va senz'altro respinta. I due approcci sono complementari ed entrambi necessari; si richiamano infatti a vicenda. Non si può aderire alla singola porzione di un corpus o di un testo senza sviluppare, di fatto, un'indicazione propedeutica all'intelligenza dell'insieme; e non si può imbastire un vasto telaio senza sollecitare nuovi accertamenti locali, forieri di conferme, ritocchi, messe a punto, rettifiche. Il panorama degli studi danteschi ha sempre presentato questa duplice via e ne ha regolarmente beneficiato. I saggi riuniti in questo volume si avvicinano alla "Commedia" abbordando scorci diversi: gli scismatici orrendamente mutilati, il consuntivo sulla superbia e la sua pretesa, la riedizione per frammenti dei salmi biblici, il paesaggio tra realismo e allegorismo, l'Empireo filosofico e teologico. Sono approcci sollecitati di volta in volta da una sporgenza particolare, senza una griglia precostituita di parametri, un'idea a priori del poeta, dei suoi principi e percorsi. Ma non si vuole insinuare, con questa procedura, che ritrarre Dante secondo un'ipotesi comprensiva sia divenuto oggi impossibile, il tentativo è semmai di accogliere, al netto di pregiudizi, la sfida lanciata dai testi, il loro provocatorio impatto. E' da questo incontro non pianificato con pagine sempre sorprendenti che può eventualmente ripartire la costruzione globale, tuttora auspicabile. Il titolo del volume suggerisce in effetti un orizzonte, affiorato lungo il vario lavoro di ricerca e incentivato dall'accorpamento degli esiti. Ecco ciò che si profila: un viaggio, quello dell'agens ma anche quello dell'auctor, rischiarato in ogni frangente dalla meta finale, e dunque un percorso della scrittura non riducibile a un mero sovrapporsi di urgenze storiche via via insorgenti, né tanto meno a una pura addizione di esperimenti linguistici degustati di volta in volta. Nella "Commedia", le stazioni della trama e dell'espressività hanno tutte un punto di fuga, il decimo cielo, l'Empireo dei beati. Una sfera perfetta e del tutto spirituale; da rendere dunque attraverso metafore, da celebrare nella sua ultima ineffabilità. Il "Convivio", invece, riteneva ancora l'Empireo un vero e proprio corpo, come tutta la teologia del secolo XIII. Operando una rimodulazione dell'ultimo cielo in accezione religiosa, la "Commedia" promuove, con una mossa inedita e, per i tempi, non poco ardita, un Paradiso immune da compiti e condizionamenti fisici. Opera non sovrapponibile al "Convivio", la "Commedia", tuttavia, non è nemmeno abissalmente eterogenea. E difatti, per la mutata immagine della decima sfera, non occorre ipotizzare, fra trattato e poema, una ripulsa totale degli originari postulati. La dottrina del "Convivio" non era così sbilanciata. In particolare, come mostra l'ultimo saggio del presente volume, Dante non accede nel "Convivio" a una identificazione dell'Empireo con l'Anima del mondo dei neoplatonici. Irreperibile un decorso che da Dio conduca al Nous e di qui all'Anima, secondo lo schema di Proclo. Nel "Convivio" latitano sia l'Uno che l'Anima cosmica; si parla invero di una Prima Mente, ma in assenza delle altre due ipostasi neoplatoniche, la Prima Mente dantesca non è più il Nous di Plotino e di Proclo. Il fatto che Dante annodi la Prima Mente e l'Empireo, che in quella Mente è stato formato, non tradisce una seria contaminazione neoplatonica. A onta di qualche segnale a prima vista sospetto, Dante non si impegna a scandire una dinamica che muova da Dio necessariamente e porti in maniera inesorabile alla sfera paradisiaca: quel cielo è stato formato dall'artefice primo, non ne costituisce la propagazione, e non si può parificare a uno stadio sensibile venuto in seguito a una serie di stadi spirituali digradanti. E allora, se dal trattato guardiamo in avanti fino ad abbracciare il poema sacro, possiamo recepire la finale rettifica senza eccessiva perplessità. Pura luce spirituale, l'Empireo, nella "Commedia"; cielo corporale nel "Convivio". Ma il trattato, immune da una rilevante compromissione con l'emanazionismo e il panteismo, non aveva fatto del decimo cielo la transizione dall'intelligibile al sensibile, non aveva insomma posto l'Empireo come tassello di una continuità fra Dio e mondo.

Verso l'Empireo. Stazioni lungo la verticale dantesca

CRISTALDI, Sergio Alfio Maria
2013-01-01

Abstract

Abbiamo ancora bisogno di opere monografiche su Dante, di trattazioni sistematiche che investano complessivamente la sua carriera, la sua produzione, o che comunque affrontino un tema in maniera organica e tendenzialmente esaustiva? Oppure è giunto il tempo degli assaggi settoriali, meno imponenti, meno pretenziosi, forse dotati di maggiore aderenza nella loro dimessa frammentarietà che non si arroga la pretesa di dominare l'intero, e umilmente tenta di misurare questo o quel segmento, l'una o l'altra sporgenza? Posta in questi termini, l'alternativa è fuorviante e va senz'altro respinta. I due approcci sono complementari ed entrambi necessari; si richiamano infatti a vicenda. Non si può aderire alla singola porzione di un corpus o di un testo senza sviluppare, di fatto, un'indicazione propedeutica all'intelligenza dell'insieme; e non si può imbastire un vasto telaio senza sollecitare nuovi accertamenti locali, forieri di conferme, ritocchi, messe a punto, rettifiche. Il panorama degli studi danteschi ha sempre presentato questa duplice via e ne ha regolarmente beneficiato. I saggi riuniti in questo volume si avvicinano alla "Commedia" abbordando scorci diversi: gli scismatici orrendamente mutilati, il consuntivo sulla superbia e la sua pretesa, la riedizione per frammenti dei salmi biblici, il paesaggio tra realismo e allegorismo, l'Empireo filosofico e teologico. Sono approcci sollecitati di volta in volta da una sporgenza particolare, senza una griglia precostituita di parametri, un'idea a priori del poeta, dei suoi principi e percorsi. Ma non si vuole insinuare, con questa procedura, che ritrarre Dante secondo un'ipotesi comprensiva sia divenuto oggi impossibile, il tentativo è semmai di accogliere, al netto di pregiudizi, la sfida lanciata dai testi, il loro provocatorio impatto. E' da questo incontro non pianificato con pagine sempre sorprendenti che può eventualmente ripartire la costruzione globale, tuttora auspicabile. Il titolo del volume suggerisce in effetti un orizzonte, affiorato lungo il vario lavoro di ricerca e incentivato dall'accorpamento degli esiti. Ecco ciò che si profila: un viaggio, quello dell'agens ma anche quello dell'auctor, rischiarato in ogni frangente dalla meta finale, e dunque un percorso della scrittura non riducibile a un mero sovrapporsi di urgenze storiche via via insorgenti, né tanto meno a una pura addizione di esperimenti linguistici degustati di volta in volta. Nella "Commedia", le stazioni della trama e dell'espressività hanno tutte un punto di fuga, il decimo cielo, l'Empireo dei beati. Una sfera perfetta e del tutto spirituale; da rendere dunque attraverso metafore, da celebrare nella sua ultima ineffabilità. Il "Convivio", invece, riteneva ancora l'Empireo un vero e proprio corpo, come tutta la teologia del secolo XIII. Operando una rimodulazione dell'ultimo cielo in accezione religiosa, la "Commedia" promuove, con una mossa inedita e, per i tempi, non poco ardita, un Paradiso immune da compiti e condizionamenti fisici. Opera non sovrapponibile al "Convivio", la "Commedia", tuttavia, non è nemmeno abissalmente eterogenea. E difatti, per la mutata immagine della decima sfera, non occorre ipotizzare, fra trattato e poema, una ripulsa totale degli originari postulati. La dottrina del "Convivio" non era così sbilanciata. In particolare, come mostra l'ultimo saggio del presente volume, Dante non accede nel "Convivio" a una identificazione dell'Empireo con l'Anima del mondo dei neoplatonici. Irreperibile un decorso che da Dio conduca al Nous e di qui all'Anima, secondo lo schema di Proclo. Nel "Convivio" latitano sia l'Uno che l'Anima cosmica; si parla invero di una Prima Mente, ma in assenza delle altre due ipostasi neoplatoniche, la Prima Mente dantesca non è più il Nous di Plotino e di Proclo. Il fatto che Dante annodi la Prima Mente e l'Empireo, che in quella Mente è stato formato, non tradisce una seria contaminazione neoplatonica. A onta di qualche segnale a prima vista sospetto, Dante non si impegna a scandire una dinamica che muova da Dio necessariamente e porti in maniera inesorabile alla sfera paradisiaca: quel cielo è stato formato dall'artefice primo, non ne costituisce la propagazione, e non si può parificare a uno stadio sensibile venuto in seguito a una serie di stadi spirituali digradanti. E allora, se dal trattato guardiamo in avanti fino ad abbracciare il poema sacro, possiamo recepire la finale rettifica senza eccessiva perplessità. Pura luce spirituale, l'Empireo, nella "Commedia"; cielo corporale nel "Convivio". Ma il trattato, immune da una rilevante compromissione con l'emanazionismo e il panteismo, non aveva fatto del decimo cielo la transizione dall'intelligibile al sensibile, non aveva insomma posto l'Empireo come tassello di una continuità fra Dio e mondo.
2013
978-88-96950-40-1
Dante; Commedia; Empireo
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