La crisi del linguaggio, espressione del collasso dell’intero sistema conoscitivo occidentale basato sulla razionalità classica, viene analizzata nei suoi risvolti nel genere poetico. Essa si configura qui come crisi della parola del “grande stile”, principio, questo, in grado di subordinare a sé il magma della pluralità, il caos dei particolari, in virtù di un linguaggio che, pur nella consapevolezza della precarietà della forma, era ancora strumento non incrinato di significazione. Sondando preliminarmente il terreno dei rapporti fra espressione linguistica e problema conoscitivo, come essi vengono elaborati negli studi classici sul linguaggio da Wilhelm von Humboldt, Walter Benjamin, Fritz Mauthner e Ludwig Wittgenstein, la crisi del linguaggio viene indagata quale fenomeno che si inscrive in un più vasto travaglio storico e politico, sociale ed economico, conoscitivo e scientifico, che, nel tramonto di strutture cognitive e parametri ormai avvertiti come desueti, vede l’emergere di innovazioni in ogni campo del sapere. L’assenza di valori di cui parla Hermann Broch, la dissoluzione di un modello conoscitivo onnicomprensivo, la negazione dello ‘stile’ univoco e totalizzante che si esprime nell’eclettismo artistico di quegli anni, appaiono quindi espressione dell’esperienza della disgregazione e frantumazione, della deriva dell’individuo che vive all’interno del suo io la frattura fra principio soggettivo e realtà, inafferrabile, giacché “incomprensibile e mostruosa” (Rilke) e non più dominabile da un soggetto disorientato e paralizzato dal suo stesso io. La crisi, che sul piano linguistico si avverte come negazione dei principi ordinatori, come autonomia delle componenti minime e strutturali del signifiant, è però anche espressione di una coscienza più acuta e matura della realtà, della storia, dell’uomo, è esperienza cresciuta nella consapevolezza della precarietà e del limite. Così il linguaggio che attraversa la crisi, nella sperimentazione del limite, del silenzio e della negazione di sé, elabora nuove ed inusitate possibilità di espressione, facendo dei suoi vuoti e dell’assenza i luoghi di una nuova, lacerante e moderna forma di significazione. Pur nella diversità dell’approccio, ora teorico, ora prettamente empirico, la crisi della parola si manifesta con esiti diversi in Hofmannsthal, Trakl e Rilke. Dall’analisi testuale di alcuni campioni tratti dall’opera dei suddetti autori si giunge alle seguenti conclusioni: la parola poetica in Hofmannsthal attraversa l’esperienza del silenzio come risultato estremo della discrepanza fra dimensione estetica ed etica, come frattura incolmabile fra segno e realtà, per superarla nella ‘poetica della metafora’, nella formulazione di una “forma superiore di linguaggio” (Hofmannsthal); in Trakl la parola ‘ammutolisce’ nella sperimentazione della sua inadeguatezza rispetto alla realtà storica, mentre la disgregazione della struttura linguistica è rispecchiamento formale della morte di ogni valore spirituale, del silenzio di una apocalisse nella quale si consuma la storia dell’Occidente; in Rilke la parola poetica, carica del silenzio e della morte di un’epoca, diviene lo strumento dell’ardito tentativo di fondazione di un nuovo umanesimo, contrapponendo al caos e alla crisi dell’epoca moderna, il recupero del suo primigenio potere orfico.

Fra il silenzio delle sirene ed il canto di Orfeo. La crisi del linguaggio nella poesia austriaca degli inizi del secolo: Hofmannsthal. Trakl. Rilke

PULVIRENTI, Grazia
1989-01-01

Abstract

La crisi del linguaggio, espressione del collasso dell’intero sistema conoscitivo occidentale basato sulla razionalità classica, viene analizzata nei suoi risvolti nel genere poetico. Essa si configura qui come crisi della parola del “grande stile”, principio, questo, in grado di subordinare a sé il magma della pluralità, il caos dei particolari, in virtù di un linguaggio che, pur nella consapevolezza della precarietà della forma, era ancora strumento non incrinato di significazione. Sondando preliminarmente il terreno dei rapporti fra espressione linguistica e problema conoscitivo, come essi vengono elaborati negli studi classici sul linguaggio da Wilhelm von Humboldt, Walter Benjamin, Fritz Mauthner e Ludwig Wittgenstein, la crisi del linguaggio viene indagata quale fenomeno che si inscrive in un più vasto travaglio storico e politico, sociale ed economico, conoscitivo e scientifico, che, nel tramonto di strutture cognitive e parametri ormai avvertiti come desueti, vede l’emergere di innovazioni in ogni campo del sapere. L’assenza di valori di cui parla Hermann Broch, la dissoluzione di un modello conoscitivo onnicomprensivo, la negazione dello ‘stile’ univoco e totalizzante che si esprime nell’eclettismo artistico di quegli anni, appaiono quindi espressione dell’esperienza della disgregazione e frantumazione, della deriva dell’individuo che vive all’interno del suo io la frattura fra principio soggettivo e realtà, inafferrabile, giacché “incomprensibile e mostruosa” (Rilke) e non più dominabile da un soggetto disorientato e paralizzato dal suo stesso io. La crisi, che sul piano linguistico si avverte come negazione dei principi ordinatori, come autonomia delle componenti minime e strutturali del signifiant, è però anche espressione di una coscienza più acuta e matura della realtà, della storia, dell’uomo, è esperienza cresciuta nella consapevolezza della precarietà e del limite. Così il linguaggio che attraversa la crisi, nella sperimentazione del limite, del silenzio e della negazione di sé, elabora nuove ed inusitate possibilità di espressione, facendo dei suoi vuoti e dell’assenza i luoghi di una nuova, lacerante e moderna forma di significazione. Pur nella diversità dell’approccio, ora teorico, ora prettamente empirico, la crisi della parola si manifesta con esiti diversi in Hofmannsthal, Trakl e Rilke. Dall’analisi testuale di alcuni campioni tratti dall’opera dei suddetti autori si giunge alle seguenti conclusioni: la parola poetica in Hofmannsthal attraversa l’esperienza del silenzio come risultato estremo della discrepanza fra dimensione estetica ed etica, come frattura incolmabile fra segno e realtà, per superarla nella ‘poetica della metafora’, nella formulazione di una “forma superiore di linguaggio” (Hofmannsthal); in Trakl la parola ‘ammutolisce’ nella sperimentazione della sua inadeguatezza rispetto alla realtà storica, mentre la disgregazione della struttura linguistica è rispecchiamento formale della morte di ogni valore spirituale, del silenzio di una apocalisse nella quale si consuma la storia dell’Occidente; in Rilke la parola poetica, carica del silenzio e della morte di un’epoca, diviene lo strumento dell’ardito tentativo di fondazione di un nuovo umanesimo, contrapponendo al caos e alla crisi dell’epoca moderna, il recupero del suo primigenio potere orfico.
1989
89-12821
crisi, linguaggio, filosofia, Austria
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.11769/105825
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