Il II libro della Fisica di Aristotele non è esclusivamente una trattazione sulla physis, quale potrebbe apparire dai primi due capitoli nei quali si percepisce un’evidente continuità rispetto al libro I, quanto, piuttosto, una ripresa del discorso sui principi rivisto, a partire dal capitolo terzo, alla luce della teoria della causalità. Natura e cause appaiono come qualcosa di unitario, dal momento che lo scopo di Aristotele è quello di riuscire a identificare la natura con tre delle quattro cause (materiale, formale e finale), lasciando alla stessa natura il ruolo di principio immanente del divenire quale principio di movimento, che tuttavia non significa ancora causa motrice o efficiente. Il libro II, quindi, riprende da un punto di vista nuovo la medesima tematica dei principi del divenire che Aristotele aveva fatto oggetto del I libro, orientandola ora nel senso della struttura e del funzionamento delle diverse cause nelle loro relazioni reciproche. L’aspetto più interessante del discorso aristotelico del libro II appare certamente quello che concerne la causa finale, ovverosia il cosiddetto teleologismo. Aristotele si rivela consapevole del fatto che la causa finale non può spiegare senza le altre cause il divenire degli enti naturali, e tuttavia egli insiste sulla causa finale forse allo scopo di sottolineare la differenza tra la sua fisica e quella dei suoi predecessori, che rimasero ancorati ad una concezione materialistica e meccanicistica. Ma, pur essendo la causa finale garanzia dell’ordine e della regolaità del mondo fisico, Aristotele teorizza la necessità che ad essa si accompagnino le altre tre cause in un sistema di reciproche interazioni funzionali e dialettiche. È questa la ragione che mi induce ad attenuare l’enfasi con cui molti interpreti moderni di Aristotele hanno esagerato il primato della causa finale sulle altre cause. Ciò detto, occorre anche non dare eccessivo peso a quegli altri interpreti che hanno tentato di ridurre la causa finale alla causa formale o, peggio, alla causa efficiente. L’interpretazione più equilibrata mi sembra quella che vede in Aristotele quella mirabile lucidità teoretica che è in grado di dar ragione della straordinaria varietà e mobilità del mondo naturale tramite la teorizzazione di una trama di relazioni continue e intercambiabili fra principi, elementi e cause, che egli tratta tutti sia come componenti indispensabili e ineludibili delle strutture ontologiche della realtà sia come strumenti epistemologici necessari alla comprensione e alla lettura della realtà stessa in riferimento sia al mondo fenomenico sia a quello metafisico.

I fondamenti della causalità naturale. Analisi critica di Aristotele, Phys. II

GIARDINA, GIOVANNA RITA
2006-01-01

Abstract

Il II libro della Fisica di Aristotele non è esclusivamente una trattazione sulla physis, quale potrebbe apparire dai primi due capitoli nei quali si percepisce un’evidente continuità rispetto al libro I, quanto, piuttosto, una ripresa del discorso sui principi rivisto, a partire dal capitolo terzo, alla luce della teoria della causalità. Natura e cause appaiono come qualcosa di unitario, dal momento che lo scopo di Aristotele è quello di riuscire a identificare la natura con tre delle quattro cause (materiale, formale e finale), lasciando alla stessa natura il ruolo di principio immanente del divenire quale principio di movimento, che tuttavia non significa ancora causa motrice o efficiente. Il libro II, quindi, riprende da un punto di vista nuovo la medesima tematica dei principi del divenire che Aristotele aveva fatto oggetto del I libro, orientandola ora nel senso della struttura e del funzionamento delle diverse cause nelle loro relazioni reciproche. L’aspetto più interessante del discorso aristotelico del libro II appare certamente quello che concerne la causa finale, ovverosia il cosiddetto teleologismo. Aristotele si rivela consapevole del fatto che la causa finale non può spiegare senza le altre cause il divenire degli enti naturali, e tuttavia egli insiste sulla causa finale forse allo scopo di sottolineare la differenza tra la sua fisica e quella dei suoi predecessori, che rimasero ancorati ad una concezione materialistica e meccanicistica. Ma, pur essendo la causa finale garanzia dell’ordine e della regolaità del mondo fisico, Aristotele teorizza la necessità che ad essa si accompagnino le altre tre cause in un sistema di reciproche interazioni funzionali e dialettiche. È questa la ragione che mi induce ad attenuare l’enfasi con cui molti interpreti moderni di Aristotele hanno esagerato il primato della causa finale sulle altre cause. Ciò detto, occorre anche non dare eccessivo peso a quegli altri interpreti che hanno tentato di ridurre la causa finale alla causa formale o, peggio, alla causa efficiente. L’interpretazione più equilibrata mi sembra quella che vede in Aristotele quella mirabile lucidità teoretica che è in grado di dar ragione della straordinaria varietà e mobilità del mondo naturale tramite la teorizzazione di una trama di relazioni continue e intercambiabili fra principi, elementi e cause, che egli tratta tutti sia come componenti indispensabili e ineludibili delle strutture ontologiche della realtà sia come strumenti epistemologici necessari alla comprensione e alla lettura della realtà stessa in riferimento sia al mondo fenomenico sia a quello metafisico.
2006
88-86673-98-1
causalità; teleologismo; natura; aristotele; fisica
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.11769/106657
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