Tra i malanni dell'abate Giambattista Recanati, patrizio veneto, e le negligenze del Capitan d'Arme Porcìa, il primo incaricato della curatela, il secondo ideatore della collana di autobiografie di illustri e saggi autori che adornavano le lettere d’Italia nella prima metà Settecento, tra gli uni e le altre, dunque, la Vita scritta dal Vico si trovò lungamente a languire. Quando essa vide infine la luce, nel 1728, si attestò però come uno dei paradigmi del codice settecentesco dell’autoreferenzialità, condotta secondo i parametri della riflessione filosofica. Un testo emblematico, specimen del genere autologico; un cardine del moderno racconto di sé più rigoroso e compatto. Lo stesso non può dirsi dei versi autobiografici del letterato teorico della "nuova scienza", che rilasciano suggestioni ma che sono anche impacciati da scorie scolastiche, residui esornativi e baroccheggianti acrobazie verbali, In ogni caso, si tratta di rime inscrivibili nelle coordinate formali che il Vico, assiduo frequentatore dei cenacoli arcadici, non si asteneva dall'accogliere. E gradevoli, ancora oggi, perché pennellano un autoritratto intellettuale e lasciano intravedere, a chi voglia leggerle in filigrana, sia le ferite dello "smottamento" caratteriale dell'autore, sia la sofferta consapevolezza di un pensiero vertiginosamente "inattuale".
Titolo: | La vita e gli “affetti” di G.B. Vico. Gli «acerbi martìri» e le «delizie oneste» nel racconto di sé di un savant |
Autori interni: | |
Data di pubblicazione: | 2010 |
Handle: | http://hdl.handle.net/20.500.11769/106679 |
ISBN: | 978-88-95104-95-9 |
Appare nelle tipologie: | 3.1 Monografia o trattato scientifico |