Nel dibattito storiografico contemporaneo la realtà della lunga durata del feudalesimo, pur all’interno di un’età – quella moderna – percorsa da mutamenti socio-economici e politico-istituzionali di grande rilievo, è un’accezione ampiamente condivisa. Tra le numerose coordinate che animano la scena del feudalesimo moderno, una in particolare sembra qualificare questa società per la sua caratteristica di lunga durata: la famiglia patrilineare, di modello aristocratico, segnata fortemente dal passaggio del patrimonio in linea maschile. In tale contesto, la monacazione più o meno accettata dei figli ultrageniti, esclusi dal mercato matrimoniale, rientrava tra i meccanismi strategici di consolidamento e di allargamento del potere familiare. Doti di paraggio e/o spirituali accompagnavano i cadetti verso una sorte che li destinava alla penombra. Vittime sacrificali privilegiate di questo sistema rimanevano certamente le donne, da sempre destinate al ruolo riproduttivo, o al silenzio perché è le maledette figlie femmine rovinano i casati. Per nobili rampolle e per figlie di nuove borghesie rampanti il dettame aut virum...aut murum diventava una regola che non ammetteva eccezioni. Quando la claustrale, però, non si compiaceva di interpretare il potere della famiglia, o non si rifugiava nel miraggio di giungere alla ‘santità’, o semplicemente non si contentava dei piaceri – i soli consentiti alle monache – della conoscenza e della cultura, allora scattava la molla della ribellione. I numerosi processi nullitatis professionis, conservati negli archivi siciliani, e analizzati in questo volume, danno finalmente visibilità a quelle ‘figlie di Eva’ che non vollero accettare un destino non scelto. Strategie ed egoismi, albagie e pregiudizi di casta furono, così, spesso il presupposto di tragiche storie di giovani donne costrette a matrimoni non sempre voluti, o a monacazioni talora forzate, da famiglie quasi sempre legate ad una logica ‘accettata’, ma a volte subdole, addirittura violente, in ogni caso determinate, il cui fine rimaneva sempre e soltanto la salvaguardia del patrimonio. Questo libro è dedicato alle poche donne che ebbero il coraggio di parlare, e alle molte che dolorosamente tacquero.
Aut virum...aut murum. Matrimoni strategici, serafiche nozze e mistici divorzi nella Sicilia moderna
RAFFAELE, Silvana
2010-01-01
Abstract
Nel dibattito storiografico contemporaneo la realtà della lunga durata del feudalesimo, pur all’interno di un’età – quella moderna – percorsa da mutamenti socio-economici e politico-istituzionali di grande rilievo, è un’accezione ampiamente condivisa. Tra le numerose coordinate che animano la scena del feudalesimo moderno, una in particolare sembra qualificare questa società per la sua caratteristica di lunga durata: la famiglia patrilineare, di modello aristocratico, segnata fortemente dal passaggio del patrimonio in linea maschile. In tale contesto, la monacazione più o meno accettata dei figli ultrageniti, esclusi dal mercato matrimoniale, rientrava tra i meccanismi strategici di consolidamento e di allargamento del potere familiare. Doti di paraggio e/o spirituali accompagnavano i cadetti verso una sorte che li destinava alla penombra. Vittime sacrificali privilegiate di questo sistema rimanevano certamente le donne, da sempre destinate al ruolo riproduttivo, o al silenzio perché è le maledette figlie femmine rovinano i casati. Per nobili rampolle e per figlie di nuove borghesie rampanti il dettame aut virum...aut murum diventava una regola che non ammetteva eccezioni. Quando la claustrale, però, non si compiaceva di interpretare il potere della famiglia, o non si rifugiava nel miraggio di giungere alla ‘santità’, o semplicemente non si contentava dei piaceri – i soli consentiti alle monache – della conoscenza e della cultura, allora scattava la molla della ribellione. I numerosi processi nullitatis professionis, conservati negli archivi siciliani, e analizzati in questo volume, danno finalmente visibilità a quelle ‘figlie di Eva’ che non vollero accettare un destino non scelto. Strategie ed egoismi, albagie e pregiudizi di casta furono, così, spesso il presupposto di tragiche storie di giovani donne costrette a matrimoni non sempre voluti, o a monacazioni talora forzate, da famiglie quasi sempre legate ad una logica ‘accettata’, ma a volte subdole, addirittura violente, in ogni caso determinate, il cui fine rimaneva sempre e soltanto la salvaguardia del patrimonio. Questo libro è dedicato alle poche donne che ebbero il coraggio di parlare, e alle molte che dolorosamente tacquero.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.