L’obiettivo di questo lavoro è analizzare il pensiero etico-politico di Pascal, al fine anche di rivalutare criticamente nel pensatore di Clermont-Ferrand l’ordine umano, la cui attenta analisi non è affatto dettata da uno sterile pessimismo di rito, bensì da un realistico ottimismo, che indubbiamente affonda le sue radici nel terreno della speranza cristiana. D'altra parte, non è possibile relegare Pascal tra coloro i quali disprezzano il mondo e tutto ciò che ne fa parte; basti pensare alla sua acuta e dettagliata analisi antropologica, che manda in frantumi l’inossidabile cliché del Pascal sostanzialmente mistico e pessimista, tutto chiuso nel suo progetto di un’apologia cristiana, antiumanistica e trascendente. E che Pascal non sia “nemico dell’uomo” si comprende molto bene dai tre Discorsi sulla condizione dei grandi, ove troviamo delineato il profilo e l’operato del “re di concupiscenza”. Questi rappresenta l’archetipo dell’uomo che, seppur sotto il dominio dalla libido dominandi, sa indirizzare al bene comune le istanze particolaristiche ed atomistiche dei suoi sudditi. A differenza del re tiranno, che non si preoccupa né di legittimità né di morale, e che domina i sudditi con la forza, il re di concupiscenza assume come criterio di giudizio e come regola di condotta il piacere e il benessere degli altri. Egli è la rappresentazione dell’honnête homme, i cui valori terreni ed immanenti non vengono sommariamente liquidati da Pascal che, al contrario, li apprezza all’interno, ben s’intende, di una società che non riesce né a liberarsi dal giogo della concupiscenza né ad innalzare lo sguardo verso valori eterni e trascendenti. Pertanto, in una società sans Dieu, l’ideale viene rappresentato dall’honnête homme, il quale ha compreso che, per ottenere il piacere e rendersi amabile, è necessario limitare la volontà di dominio e mettere ordine alle varie passioni, creando a tal fine delle regole che, almeno esteriormente, siano molto vicine a quelle ispirate all’amore evangelico. D’altronde, l’interesse pascaliano per la sfera della politica si esprime anche nella consapevolezza che solo una “buona politica” è in grado di mantenere il bene supremo della pace: bene supremo che, nella prospettiva pascaliana, giustifica persino il ricorso alla dissimulazione, alla menzogna autorizzata. Nondimeno, il ricorso alla menzogna come mezzo per raggiungere il bene supremo della pace, non ci autorizza ad accusare Pascal di «realismo cinico, pur se guidato da una sua coscienziosità». Un motivo questo che c’induce, da un lato, a prendere le distanze da chi ha descritto Pascal come un “antipolitico” che si beffa della politica, facendola addirittura coincidere con la follia, ovvero con un «tentativo di assistenza psichiatrica, con prognosi terapeutica limitata alla prospettiva del minor male»; e, dall’altro, a sposare la tesi di un Pascal “realista”, che non coltiva affatto l’astratto ideale della politica come mezzo di perfezionamento dell’uomo e del mondo, ma che nella politica vede un freno ed uno scudo contro il caos e la degenerazione della società. L’ordine politico ha dunque una sua utilità: l’attività politica, infatti, mette un freno al disordine caotico della società, la quale nasce dalla libido dominandi, comune a tutti gli uomini; s’instaura con la forza, ineguale a tutti gli uomini; e si mantiene grazie all’immaginazione. Così all’inevitabile disordine che scaturirebbe dal lasciar campo libero al desiderio egoistico di dominare su tutti gli altri, segue il potere del più forte che, imponendo al più debole le proprie leggi, pone fine alla guerra di tutti contro tutti ed apre la strada alla costituzione dello Stato. Da qui l’invito pascaliano a rispettare le leggi e le istituzioni, al fine di garantire la sopravvivenza dello Stato, il cui unico scopo è quello di proteggere la vita dei sudditi e salvaguardare i loro beni. Beninteso, non v’ha dubbio che gl’interessi spiccatamente politici non occupano una posizione centralissima nel breve e ricchissimo arco a sesto acuto della vita e della riflessione di Pascal; ma tutto ciò non deve farci trascurare l’attenzione che egli riservò alla scienza dei costumi. Un’attenzione che ben s’allinea con quell’antropologia che svela l’esistenza di due nature nell’uomo: la prima natura, orientata verso la carità per mezzo della grazia divina; e la seconda, succube della concupiscenza. Così, dopo l’iniziale elogio dell’honnête homme, troviamo una critica severa contro le insufficienze dell’honnêteté, sostanzialmente inadatta a guarire i mali morali dell’uomo. Da qui l’invito a “scavalcare” l’ideale proposto dal re di concupiscenza, il quale, benché riesca a realizzare una società equilibrata, rimane pur sempre un uomo sans Dieu, la cui politica sarà quindi una politica della concupiscenza, incapace di trasformare realmente e compiutamente quel figmentum malum che caratterizza l’uomo allontanatosi da Dio. Ecco perché, dall’«umanesimo imperfetto» dell'honnête homme o del re di concupiscenza, si passa all'umanesimo del re di carità, il quale, agendo secondo l’amour de Dieu e non secondo l’amour de soi, rappresenta il vero e più alto ideale da seguire. Egli, riunendo in sé i valori dell’umanesimo e quelli del cristianesimo, diventa infatti il portatore di un «umanesimo perfetto», la cui idea suprema raffigura quel Dio che si è fatto uomo per indicare agli uomini la via della salvezza e della santità. La strada per rimediare alle nostre miserie corre, dunque, attraverso l’ascolto della volontà di Dio, non perché trascendenza che annienta l’umano, ma perché vera Giustizia e vero Bene, a cui deve ispirarsi la volontà umana e su cui deve fondarsi la nuova e sicura regola per giudicare ciò che è bene e ciò che è male. Beninteso, ciò non significa annullare l’umano, ma al contrario evidenziare la presenza divina che c’è in noi, e lasciarci guidare da quel «principe plus intérieure» che ci contraddistingue, al fine di realizzare un’etica che abbia come aurea regola l’amore cristiano. L’amore di Dio e l’amore per il prossimo sono, infatti, le due leggi sulle quali Pascal edifica il suo modello di communitas terrena: un modello progettato per la repubblica cristiana, ma che può valere anche per una società laica che fondi le sue leggi sul rispetto assoluto della dignità umana. Per questo motivo, si può ben dire che Pascal «ha finito per fare non solo apologia del cristianesimo, ma anche apologia della buona modernità».

Il re di concupiscenza saggio su Pascal etico-politico

ROMEO, MARIA VITA
2009-01-01

Abstract

L’obiettivo di questo lavoro è analizzare il pensiero etico-politico di Pascal, al fine anche di rivalutare criticamente nel pensatore di Clermont-Ferrand l’ordine umano, la cui attenta analisi non è affatto dettata da uno sterile pessimismo di rito, bensì da un realistico ottimismo, che indubbiamente affonda le sue radici nel terreno della speranza cristiana. D'altra parte, non è possibile relegare Pascal tra coloro i quali disprezzano il mondo e tutto ciò che ne fa parte; basti pensare alla sua acuta e dettagliata analisi antropologica, che manda in frantumi l’inossidabile cliché del Pascal sostanzialmente mistico e pessimista, tutto chiuso nel suo progetto di un’apologia cristiana, antiumanistica e trascendente. E che Pascal non sia “nemico dell’uomo” si comprende molto bene dai tre Discorsi sulla condizione dei grandi, ove troviamo delineato il profilo e l’operato del “re di concupiscenza”. Questi rappresenta l’archetipo dell’uomo che, seppur sotto il dominio dalla libido dominandi, sa indirizzare al bene comune le istanze particolaristiche ed atomistiche dei suoi sudditi. A differenza del re tiranno, che non si preoccupa né di legittimità né di morale, e che domina i sudditi con la forza, il re di concupiscenza assume come criterio di giudizio e come regola di condotta il piacere e il benessere degli altri. Egli è la rappresentazione dell’honnête homme, i cui valori terreni ed immanenti non vengono sommariamente liquidati da Pascal che, al contrario, li apprezza all’interno, ben s’intende, di una società che non riesce né a liberarsi dal giogo della concupiscenza né ad innalzare lo sguardo verso valori eterni e trascendenti. Pertanto, in una società sans Dieu, l’ideale viene rappresentato dall’honnête homme, il quale ha compreso che, per ottenere il piacere e rendersi amabile, è necessario limitare la volontà di dominio e mettere ordine alle varie passioni, creando a tal fine delle regole che, almeno esteriormente, siano molto vicine a quelle ispirate all’amore evangelico. D’altronde, l’interesse pascaliano per la sfera della politica si esprime anche nella consapevolezza che solo una “buona politica” è in grado di mantenere il bene supremo della pace: bene supremo che, nella prospettiva pascaliana, giustifica persino il ricorso alla dissimulazione, alla menzogna autorizzata. Nondimeno, il ricorso alla menzogna come mezzo per raggiungere il bene supremo della pace, non ci autorizza ad accusare Pascal di «realismo cinico, pur se guidato da una sua coscienziosità». Un motivo questo che c’induce, da un lato, a prendere le distanze da chi ha descritto Pascal come un “antipolitico” che si beffa della politica, facendola addirittura coincidere con la follia, ovvero con un «tentativo di assistenza psichiatrica, con prognosi terapeutica limitata alla prospettiva del minor male»; e, dall’altro, a sposare la tesi di un Pascal “realista”, che non coltiva affatto l’astratto ideale della politica come mezzo di perfezionamento dell’uomo e del mondo, ma che nella politica vede un freno ed uno scudo contro il caos e la degenerazione della società. L’ordine politico ha dunque una sua utilità: l’attività politica, infatti, mette un freno al disordine caotico della società, la quale nasce dalla libido dominandi, comune a tutti gli uomini; s’instaura con la forza, ineguale a tutti gli uomini; e si mantiene grazie all’immaginazione. Così all’inevitabile disordine che scaturirebbe dal lasciar campo libero al desiderio egoistico di dominare su tutti gli altri, segue il potere del più forte che, imponendo al più debole le proprie leggi, pone fine alla guerra di tutti contro tutti ed apre la strada alla costituzione dello Stato. Da qui l’invito pascaliano a rispettare le leggi e le istituzioni, al fine di garantire la sopravvivenza dello Stato, il cui unico scopo è quello di proteggere la vita dei sudditi e salvaguardare i loro beni. Beninteso, non v’ha dubbio che gl’interessi spiccatamente politici non occupano una posizione centralissima nel breve e ricchissimo arco a sesto acuto della vita e della riflessione di Pascal; ma tutto ciò non deve farci trascurare l’attenzione che egli riservò alla scienza dei costumi. Un’attenzione che ben s’allinea con quell’antropologia che svela l’esistenza di due nature nell’uomo: la prima natura, orientata verso la carità per mezzo della grazia divina; e la seconda, succube della concupiscenza. Così, dopo l’iniziale elogio dell’honnête homme, troviamo una critica severa contro le insufficienze dell’honnêteté, sostanzialmente inadatta a guarire i mali morali dell’uomo. Da qui l’invito a “scavalcare” l’ideale proposto dal re di concupiscenza, il quale, benché riesca a realizzare una società equilibrata, rimane pur sempre un uomo sans Dieu, la cui politica sarà quindi una politica della concupiscenza, incapace di trasformare realmente e compiutamente quel figmentum malum che caratterizza l’uomo allontanatosi da Dio. Ecco perché, dall’«umanesimo imperfetto» dell'honnête homme o del re di concupiscenza, si passa all'umanesimo del re di carità, il quale, agendo secondo l’amour de Dieu e non secondo l’amour de soi, rappresenta il vero e più alto ideale da seguire. Egli, riunendo in sé i valori dell’umanesimo e quelli del cristianesimo, diventa infatti il portatore di un «umanesimo perfetto», la cui idea suprema raffigura quel Dio che si è fatto uomo per indicare agli uomini la via della salvezza e della santità. La strada per rimediare alle nostre miserie corre, dunque, attraverso l’ascolto della volontà di Dio, non perché trascendenza che annienta l’umano, ma perché vera Giustizia e vero Bene, a cui deve ispirarsi la volontà umana e su cui deve fondarsi la nuova e sicura regola per giudicare ciò che è bene e ciò che è male. Beninteso, ciò non significa annullare l’umano, ma al contrario evidenziare la presenza divina che c’è in noi, e lasciarci guidare da quel «principe plus intérieure» che ci contraddistingue, al fine di realizzare un’etica che abbia come aurea regola l’amore cristiano. L’amore di Dio e l’amore per il prossimo sono, infatti, le due leggi sulle quali Pascal edifica il suo modello di communitas terrena: un modello progettato per la repubblica cristiana, ma che può valere anche per una società laica che fondi le sue leggi sul rispetto assoluto della dignità umana. Per questo motivo, si può ben dire che Pascal «ha finito per fare non solo apologia del cristianesimo, ma anche apologia della buona modernità».
2009
978-88-343-1776-1
Politica; Morale; Stato
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