Nato dal connubio tra radio, teatro di rivista e avanspettacolo, il varietà televisivo è l’ultima variante di quel varietà che si diffonde in Europa e negli Stati Uniti a partire dall’Ottocento, come importante forma di svago nelle moderne città industriali. Nonostante sia una forma di spettacolo apparentemente estranea alla realtà quotidiana, riflette invece abitudini, mode, costumi del tempo, testimoniando profondi cambiamenti negli stili comunicativi e nei valori socioculturali del nostro Paese. Presenta, tuttavia, anche interessanti persistenze tra la televisione delle origini, definita da Umberto Eco paleotelevisione, e la neotelevisione di oggi. A partire dai mitici programmi Un, due, tre e Studio Uno degli anni Cinquanta e Sessanta, fino al recentissimo #ilpiùgrandespettacolodopoilweekend (le tre trasmissioni qui analizzate), il varietà conserva la libertà di espressione del teatro di rivista, mostrando, all’interno di un unico genere, quella totalità della lingua che secondo De Mauro distingue l’italiano televisivo da quello cinematografico o radiofonico. Il varietà sfrutta, infatti, tutte le risorse della lingua comune: usi standard e substandard, formali e informali, colti e popolari, regionali, dialettali e anche frammenti di lingue straniere.
Varietà del varietà televisivo. Un, due, tre. Studio Uno. #ilpiùgrandespettacolodopoilweekend
ALFONZETTI, Giovanna Marina
2017-01-01
Abstract
Nato dal connubio tra radio, teatro di rivista e avanspettacolo, il varietà televisivo è l’ultima variante di quel varietà che si diffonde in Europa e negli Stati Uniti a partire dall’Ottocento, come importante forma di svago nelle moderne città industriali. Nonostante sia una forma di spettacolo apparentemente estranea alla realtà quotidiana, riflette invece abitudini, mode, costumi del tempo, testimoniando profondi cambiamenti negli stili comunicativi e nei valori socioculturali del nostro Paese. Presenta, tuttavia, anche interessanti persistenze tra la televisione delle origini, definita da Umberto Eco paleotelevisione, e la neotelevisione di oggi. A partire dai mitici programmi Un, due, tre e Studio Uno degli anni Cinquanta e Sessanta, fino al recentissimo #ilpiùgrandespettacolodopoilweekend (le tre trasmissioni qui analizzate), il varietà conserva la libertà di espressione del teatro di rivista, mostrando, all’interno di un unico genere, quella totalità della lingua che secondo De Mauro distingue l’italiano televisivo da quello cinematografico o radiofonico. Il varietà sfrutta, infatti, tutte le risorse della lingua comune: usi standard e substandard, formali e informali, colti e popolari, regionali, dialettali e anche frammenti di lingue straniere.File | Dimensione | Formato | |
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