Il saggio prende in esame la raccolta di novelle Le Cene composta da Anton Francesco Grazzini, detto il Lasca, nel decennio 1540-1550 ca. Attraverso una comparazione con altre opere del medesimo autore, in particolare con la produzione drammaturgica e con i Prologhi delle commedie, in cui è rintracciabile una riflessione – pur frammentata – sul teatro e sul ruolo degli scrittori nella società coeva, il saggio delinea innanzitutto la presa di coscienza, da parte dell’autore, del mutato e decadente ruolo dell’intellettuale tra la prima e la seconda metà del secolo. Quindi, attraverso l’analisi di alcune delle novelle contenute nella raccolta, è operata una argomentazione sulla degenerazione del riso e della beffa, che diventano strumenti di sopraffazione e stigmatizzazione dell’individuo difforme dagli altri (lo sciocco, il pedante, il presuntuoso). Il riso diventa umiliazione pubblica da parte di una comunità aggressiva e sofistica da cui sono esclusi gli individui non in grado di confrontarsi con una società fondata sull’ingegno e sulla scaltrezza. Nella novellistica grazziniana inoltre viene forzato il canone della verosimiglianza attraverso un processo di corrosione interno, mediante l’esasperazione manieristica di alcuni elementi che il saggio mette in evidenza: la novità, fonte di admiratio, il ridicolo sempre più declinato verso il grottesco, ma anche il tragico che si presta a divenire spettacolo orroroso e sanguinolento, attraverso improvvise e a tratti forzate svolte narrative.
Reale e meraviglioso nella Firenze del Lasca
Agnese Amaduri
2011-01-01
Abstract
Il saggio prende in esame la raccolta di novelle Le Cene composta da Anton Francesco Grazzini, detto il Lasca, nel decennio 1540-1550 ca. Attraverso una comparazione con altre opere del medesimo autore, in particolare con la produzione drammaturgica e con i Prologhi delle commedie, in cui è rintracciabile una riflessione – pur frammentata – sul teatro e sul ruolo degli scrittori nella società coeva, il saggio delinea innanzitutto la presa di coscienza, da parte dell’autore, del mutato e decadente ruolo dell’intellettuale tra la prima e la seconda metà del secolo. Quindi, attraverso l’analisi di alcune delle novelle contenute nella raccolta, è operata una argomentazione sulla degenerazione del riso e della beffa, che diventano strumenti di sopraffazione e stigmatizzazione dell’individuo difforme dagli altri (lo sciocco, il pedante, il presuntuoso). Il riso diventa umiliazione pubblica da parte di una comunità aggressiva e sofistica da cui sono esclusi gli individui non in grado di confrontarsi con una società fondata sull’ingegno e sulla scaltrezza. Nella novellistica grazziniana inoltre viene forzato il canone della verosimiglianza attraverso un processo di corrosione interno, mediante l’esasperazione manieristica di alcuni elementi che il saggio mette in evidenza: la novità, fonte di admiratio, il ridicolo sempre più declinato verso il grottesco, ma anche il tragico che si presta a divenire spettacolo orroroso e sanguinolento, attraverso improvvise e a tratti forzate svolte narrative.File | Dimensione | Formato | |
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