Il contributo propone un excursus della raccolta di novelle Le Cene di Anton Francesco Grazzini (1505-1584), di cui si mettono in luce gli elementi difformi dalla tradizione boccacciana e dunque la ricerca, da parte dell’autore, di una novitas che meglio rispecchiasse le tensioni politiche, religiose e culturali del suo tempo. Se le beffe sono predominanti nel novelliere (che si presenta comunque mutilo o incompleto perché probabilmente la stesura fu abbandonata da Grazzini) in esse frequenti sono gli esiti tragici, non solo per acquiescenza verso il modello senechiano sempre più in auge, ma soprattutto perché esse nascono da impulsi prevaricatori, vendicativi, aggressivi che sono specchio della società coeva. Da tale condizione scaturisce anche l’accantonamento del motto, che in Boccaccio si presentava come perfetto esempio di costruzione di un’architettura retorica in grado di ricomporre un equilibrio che si era incrinato; equilibrio non più ricostituibile nella prosa grazziniana come nella Firenze del tempo. Insieme al motto è negletta anche la novella tragica, di cui restano solo due esempi, che presentano entrambi finali raccapriccianti e granguignoleschi. La I,5, in particolare, ben rappresenta la nuova società borghese in cui le passioni, foriere di atroci vendette, non possono più scaturire da nobili sentimenti come l’amore, pur declinato in ossessione morbosa e malata, bensì nascono da vile cupidigia, da bramosia di denaro che spinge la moglie tradita Pippa a uccidere i propri figli.

Cinquecento riformatore: beffa e dissidenza nell’opera del Lasca

Agnese Amaduri
2007-01-01

Abstract

Il contributo propone un excursus della raccolta di novelle Le Cene di Anton Francesco Grazzini (1505-1584), di cui si mettono in luce gli elementi difformi dalla tradizione boccacciana e dunque la ricerca, da parte dell’autore, di una novitas che meglio rispecchiasse le tensioni politiche, religiose e culturali del suo tempo. Se le beffe sono predominanti nel novelliere (che si presenta comunque mutilo o incompleto perché probabilmente la stesura fu abbandonata da Grazzini) in esse frequenti sono gli esiti tragici, non solo per acquiescenza verso il modello senechiano sempre più in auge, ma soprattutto perché esse nascono da impulsi prevaricatori, vendicativi, aggressivi che sono specchio della società coeva. Da tale condizione scaturisce anche l’accantonamento del motto, che in Boccaccio si presentava come perfetto esempio di costruzione di un’architettura retorica in grado di ricomporre un equilibrio che si era incrinato; equilibrio non più ricostituibile nella prosa grazziniana come nella Firenze del tempo. Insieme al motto è negletta anche la novella tragica, di cui restano solo due esempi, che presentano entrambi finali raccapriccianti e granguignoleschi. La I,5, in particolare, ben rappresenta la nuova società borghese in cui le passioni, foriere di atroci vendette, non possono più scaturire da nobili sentimenti come l’amore, pur declinato in ossessione morbosa e malata, bensì nascono da vile cupidigia, da bramosia di denaro che spinge la moglie tradita Pippa a uccidere i propri figli.
2007
9788884025609
Cinquecento, Novella, Lasca, Beffa, Eterodossia
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.11769/370163
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