Il recente procedimento disciplinare a carico di un ex componente togato del C.S.M., conclusosi in primo grado con sentenza della Sezione disciplinare che ne ha disposto la rimozione dalla magistratura, ma anche il successivo pronunciamento del plenum del C.S.M., che ha dichiarato la cessazione dalla carica, a seguito di collocamento a riposo per raggiunti limiti di età, di uno dei suoi membri togati più in vista, nonché l’esito delle ultime elezioni del comitato direttivo centrale dell’A.N.M., sono tutti episodi che hanno acceso i riflettori su alcune questioni tecnico-giuridiche di grande interesse, senz’altro note, ma non sempre oggetto di specifica attenzione da parte della dottrina gius-pubblicistica: il «correntismo» nella magistratura, ossia la presenza e l’influenza di «partiti in toga» (Ainis) nell’attività «associativa» dell’A.N.M., ed in quella di rilievo costituzionale del C.S.M. e della sua Sezione disciplinare; i rischi di «isolazionismo» o di «separatezza» dell’«ordine» giudiziario dall’ordinamento giuridico democratico e unitario repubblicano e, soprattutto, dalla stessa sovranità popolare; il timore, già avvertito dai Costituenti nel 1947, che la magistratura potesse divenire, progressivamente, «un corpo chiuso, una corporazione, un mandarinato» (Ruini), arroccata in una «torre d’avorio» (Persico). Lo studio prende le mosse dall’analisi critica della potestà di vigilanza del Ministro della Giustizia, tentando di sistematizzarne, alla luce del dettato costituzionale, poteri e facoltà, di delineare il «giusto procedimento » di vigilanza e di individuare, nelle richieste disciplinari ministeriali al Procuratore generale presso la Corte di cassazione o alla Sezione disciplinare, veri e propri provvedimenti amministrativi «lesivi», che paiono del tutto privi di un adeguato livello di tutela per i singoli magistrati. La ricerca prosegue con una riflessione, sempre critica, sulla natura di «giudice» e di «giudice speciale» della Sezione disciplinare del C.S.M., provando a chiarire, in via preliminare, la posizione costituzionale, la natura giuridica e la funzione dello stesso C.S.M., che tende sempre di più a caratterizzarsi quale organo «di indirizzo politico», tramite l’uso di «auto-attribuiti» e precari poteri para-normativi; ci si sofferma sul fenomeno del «correntismo» e delle sue possibili influenze sull’attività del Consiglio e della sua Sezione disciplinare, sulla «natura giurisdizionale» del procedimento e dei provvedimenti disciplinari, sui poteri che il Ministro della giustizia ha «nel» procedimento disciplinare, sulle posizioni ordinamentali e sulle funzioni del Procuratore generale presso la Corte di cassazione, sulla natura essenzialmente amministrativa delle misure cautelari e delle sanzioni disciplinari, anche alla luce della loro ancora oggi necessaria «adozione» con decreto ministeriale. Gli esiti dell’indagine conducono a dubitare della pretesa «configurazione giurisdizionale» del procedimento disciplinare, che sembra realizzare, in realtà, una forma di autodichia «impropria», ovvero l’esercizio di un potere disciplinare «dei magistrati sui magistrati», parzialmente «incontrollato» o, al contrario, significativamente «auto-controllato», con la conseguenza che la «configurazione giurisdizionale» del procedimento disciplinare, lungi dal conformarsi alla complessiva architettura costituzionale ed alle garanzie di difesa e di tutela spettanti ai magistrati, finisce per accentuare quei rischi di «autoreferenzialità» dell’«ordine» giudiziario, già segnalati dai Costituenti, inconciliabili con l’ordinamento democratico ed unitario repubblicano e con lo stesso concetto di Stato di diritto, quale aspetto essenziale dello Stato democratico-pluralista, per la garanzia dei diritti fondamentali.

Il controllo sui magistrati Vigilanza ministeriale, C.S.M., procedimento disciplinare e garanzie costituzionali

Attilio Luigi Maria Toscano
2020-01-01

Abstract

Il recente procedimento disciplinare a carico di un ex componente togato del C.S.M., conclusosi in primo grado con sentenza della Sezione disciplinare che ne ha disposto la rimozione dalla magistratura, ma anche il successivo pronunciamento del plenum del C.S.M., che ha dichiarato la cessazione dalla carica, a seguito di collocamento a riposo per raggiunti limiti di età, di uno dei suoi membri togati più in vista, nonché l’esito delle ultime elezioni del comitato direttivo centrale dell’A.N.M., sono tutti episodi che hanno acceso i riflettori su alcune questioni tecnico-giuridiche di grande interesse, senz’altro note, ma non sempre oggetto di specifica attenzione da parte della dottrina gius-pubblicistica: il «correntismo» nella magistratura, ossia la presenza e l’influenza di «partiti in toga» (Ainis) nell’attività «associativa» dell’A.N.M., ed in quella di rilievo costituzionale del C.S.M. e della sua Sezione disciplinare; i rischi di «isolazionismo» o di «separatezza» dell’«ordine» giudiziario dall’ordinamento giuridico democratico e unitario repubblicano e, soprattutto, dalla stessa sovranità popolare; il timore, già avvertito dai Costituenti nel 1947, che la magistratura potesse divenire, progressivamente, «un corpo chiuso, una corporazione, un mandarinato» (Ruini), arroccata in una «torre d’avorio» (Persico). Lo studio prende le mosse dall’analisi critica della potestà di vigilanza del Ministro della Giustizia, tentando di sistematizzarne, alla luce del dettato costituzionale, poteri e facoltà, di delineare il «giusto procedimento » di vigilanza e di individuare, nelle richieste disciplinari ministeriali al Procuratore generale presso la Corte di cassazione o alla Sezione disciplinare, veri e propri provvedimenti amministrativi «lesivi», che paiono del tutto privi di un adeguato livello di tutela per i singoli magistrati. La ricerca prosegue con una riflessione, sempre critica, sulla natura di «giudice» e di «giudice speciale» della Sezione disciplinare del C.S.M., provando a chiarire, in via preliminare, la posizione costituzionale, la natura giuridica e la funzione dello stesso C.S.M., che tende sempre di più a caratterizzarsi quale organo «di indirizzo politico», tramite l’uso di «auto-attribuiti» e precari poteri para-normativi; ci si sofferma sul fenomeno del «correntismo» e delle sue possibili influenze sull’attività del Consiglio e della sua Sezione disciplinare, sulla «natura giurisdizionale» del procedimento e dei provvedimenti disciplinari, sui poteri che il Ministro della giustizia ha «nel» procedimento disciplinare, sulle posizioni ordinamentali e sulle funzioni del Procuratore generale presso la Corte di cassazione, sulla natura essenzialmente amministrativa delle misure cautelari e delle sanzioni disciplinari, anche alla luce della loro ancora oggi necessaria «adozione» con decreto ministeriale. Gli esiti dell’indagine conducono a dubitare della pretesa «configurazione giurisdizionale» del procedimento disciplinare, che sembra realizzare, in realtà, una forma di autodichia «impropria», ovvero l’esercizio di un potere disciplinare «dei magistrati sui magistrati», parzialmente «incontrollato» o, al contrario, significativamente «auto-controllato», con la conseguenza che la «configurazione giurisdizionale» del procedimento disciplinare, lungi dal conformarsi alla complessiva architettura costituzionale ed alle garanzie di difesa e di tutela spettanti ai magistrati, finisce per accentuare quei rischi di «autoreferenzialità» dell’«ordine» giudiziario, già segnalati dai Costituenti, inconciliabili con l’ordinamento democratico ed unitario repubblicano e con lo stesso concetto di Stato di diritto, quale aspetto essenziale dello Stato democratico-pluralista, per la garanzia dei diritti fondamentali.
2020
9788849544527
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.11769/491701
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