“L’architettura senza architetti”, pur costituendo il carattere identitario dei tessuti urbani, viene spesso abbandonata all’incuria e al degrado o, ancor peggio, alle ‘manutenzioni ordinarie’ spesso condotte dai privati abusivamente o governate da un ‘silenzio-assenso’ di enti distratti o non all’altezza. Ad aggravare questo stato di fatto oggi, in Sicilia, la L.R. 13/2015 riduce la salvaguardia dei centri storici a una classificazione dell’edilizia, basando le discriminanti culturali solo su valutazioni ‘qualitative’, soggettive e generiche, confliggendo così con la normativa nazionale ed europea attualmente vigente: art. 9 della Costituzione, D.L. n. 42 del 22 gennaio 2004 (Codice dei Beni culturali) e successivo Decreto n. 154 del 2017. La debolezza dell’attuale legislazione si evince soprattutto nelle disposizioni relative alla conoscenza per l’interpretazione critica dell’architettura storica. Di fatto, invece, senza uno studio preliminare non è possibile giungere a una sintesi che orienti il giudizio finalizzato alle successive opportunità progettuali. Il processo conoscitivo per la conservazione e il restauro diventa più complesso per l’edilizia di base, in quanto più soggetta a trasformazioni difficilmente controllabili; in questo caso, i dati rilevati in una prima fase investigativa di tipo speditivo (metodi qualitativi clinici, empirici ecc.) dovrebbero essere implementabili con nuove informazioni multidisciplinari di tipo quantitativo (indagini n.d.) su piattaforme GIS avviando il processo verso ‘una conoscenza collettiva e continua’. La fase conoscitiva dovrebbe quindi cessare di essere considerata in ordine preliminare al progetto/piano per essere inclusa in un programma persistente controllato nel tempo che contempli punti di osservazioni differenti (macro, meso, e micro-scopici), ognuno coadiuvato dalla specifica competenza disciplinare (urbanistica, tecnologica, chimica, ecc.). Alla luce del dibattito sull’opportunità di una pianificazione adeguata alle nuove piattaforme digitali e più efficace per la conservazione, lo studio propone di rendere “culturalmente e scientificamente validi” strumenti legislativi limitati, ragionando sulla possibilità di aprire dei “fascicoli dei fabbricati storici”, sull’impronta della Carta del rischio, da condividere tra enti, privati e professionisti.

Processi conoscitivi per la conservazione dei piccoli centri storici. Normativa ed esperienze in Sicilia

Giulia Filomena Sanfilippo
2020-01-01

Abstract

“L’architettura senza architetti”, pur costituendo il carattere identitario dei tessuti urbani, viene spesso abbandonata all’incuria e al degrado o, ancor peggio, alle ‘manutenzioni ordinarie’ spesso condotte dai privati abusivamente o governate da un ‘silenzio-assenso’ di enti distratti o non all’altezza. Ad aggravare questo stato di fatto oggi, in Sicilia, la L.R. 13/2015 riduce la salvaguardia dei centri storici a una classificazione dell’edilizia, basando le discriminanti culturali solo su valutazioni ‘qualitative’, soggettive e generiche, confliggendo così con la normativa nazionale ed europea attualmente vigente: art. 9 della Costituzione, D.L. n. 42 del 22 gennaio 2004 (Codice dei Beni culturali) e successivo Decreto n. 154 del 2017. La debolezza dell’attuale legislazione si evince soprattutto nelle disposizioni relative alla conoscenza per l’interpretazione critica dell’architettura storica. Di fatto, invece, senza uno studio preliminare non è possibile giungere a una sintesi che orienti il giudizio finalizzato alle successive opportunità progettuali. Il processo conoscitivo per la conservazione e il restauro diventa più complesso per l’edilizia di base, in quanto più soggetta a trasformazioni difficilmente controllabili; in questo caso, i dati rilevati in una prima fase investigativa di tipo speditivo (metodi qualitativi clinici, empirici ecc.) dovrebbero essere implementabili con nuove informazioni multidisciplinari di tipo quantitativo (indagini n.d.) su piattaforme GIS avviando il processo verso ‘una conoscenza collettiva e continua’. La fase conoscitiva dovrebbe quindi cessare di essere considerata in ordine preliminare al progetto/piano per essere inclusa in un programma persistente controllato nel tempo che contempli punti di osservazioni differenti (macro, meso, e micro-scopici), ognuno coadiuvato dalla specifica competenza disciplinare (urbanistica, tecnologica, chimica, ecc.). Alla luce del dibattito sull’opportunità di una pianificazione adeguata alle nuove piattaforme digitali e più efficace per la conservazione, lo studio propone di rendere “culturalmente e scientificamente validi” strumenti legislativi limitati, ragionando sulla possibilità di aprire dei “fascicoli dei fabbricati storici”, sull’impronta della Carta del rischio, da condividere tra enti, privati e professionisti.
2020
978-88-5491-016-4
conoscenza, piano di conservazione, centro storico, sistemi informativi
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.11769/502234
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