Scrittura ed eterodossia nel Cinquecento siciliano

Dalla sfera religiosa a quella politica, molti letterati attivi nella Sicilia della seconda metà del Cinquecento, come Giovan Guglielmo Bonincontro, Scipione di Castro e Marco Filippi, hanno fatto delle scelte controverse di cui resta traccia nella loro biografia e nei loro scritti, scontandole a volte con l’isolamento intellettuale o la persecuzione religiosa. Ciò che resta sono pagine in cui l’apologia si sposa con l’invettiva, la denuncia si alterna con la pietà; eppure, in questa letteratura “minore” germoglia anche una scrittura della dissimulazione, del sospetto, anfibologica e criptica, frutto di una complessa congiuntura politica e religiosa che riguardò l’intera penisola ma che nella Sicilia del secondo Cinquecento, minata dal conflitto tra la corte di Spagna e i poteri locali e segnata dalla presenza dell’Inquisizione spagnola, si mostrò in tutta la sua lacerante violenza.