The paper aims to trace the theater works of Mario Luzi. Through the chapters devoted specifically to the three masterpieces, Libro di Ipazia, Rosales and Hystrio, we examine the Luzi s thought on the tragic. The poet, mindful of the Steiner and Szondi s theories as well as the theological perspectives derived from the philosophy of Teilhard de Chardin, replaces the tragedy itself, impractical in the post-modern age, the concept of 'tragic waste', so the cross victims, unspoken and apparently erased from history, becomes the principal subject of a genre that, while changing style and conventions, brings with it the same lament, the same tragic thought pure and wild on existence. The work also develops through unpublished documents, the cooperation between Luzi s dramaturgy and the pedagogical and spectacular theories of Orazio Costa (friend of the poet and director on several occasions of his plays). We also analyze the influence on the two authors of the Rhapsodic Theatre. The study of the Luzi s theatre is a first step towards a more detailed and careful reconsideration of the experience against the Italian theater scene since World War II onwards, a period in which the vanguard has exercised its dominance guided by hatred for the word, with disastrous consequences - not only in terms of performing arts - observable today. Against the threat of 'abumanizzazione' of our age Luzi has thus exercised his mission of scribe and his vision of theater as ritual powerfully human, as an enrichment of consciousness and knowledge for the interpreter and for viewer.
Il lavoro si propone di ripercorrere l’ intero corpus teatrale di Luzi generatosi, dagli anni settanta, da quell essenza dialogica che in maniera sempre meno velata caratterizza le sue opere poetiche. Attraverso i capitoli dedicati in particolar modo ai tre capolavori Libro di Ipazia, Rosales e Hystrio, si esamina la riflessione luziana sul tragico. Il poeta, memore delle teorie di Steiner e Szondi oltre che delle prospettive teologiche derivate dal pensiero di Teilhard de Chardin, sostituisce alla tragedia propriamente detta, impraticabile in epoca post-moderna, il concetto di tragico spreco , per cui la croce delle vittime, taciuta e apparentemente cancellata dalla storia, diviene protagonista di un genere che, pur mutando in stile e convenzioni, porta con sé il medesimo lamento puro e selvaggio del pensiero tragico sull’ inumanità dell’ esistenza. Il lavoro, altresì, sviluppa, attraverso documenti inediti, il rapporto di fertile interscambio tra la drammaturgia luziana e le teorie pedagogiche e drammaturgico-spettacolari di Orazio Costa Giovangigli (amico del poeta e regista in più occasioni dei suoi testi teatrali). Si ricostruisce così un sodalizio che ha attraversato il teatro esistenzialista (italiano ed europeo) e mutuato molti degli aspetti estetico-filosofici (nei drammi di Luzi) e spettacolari (nella pratica scenica di Costa) del Teatro Rapsodico. Luzi e Costa, sostenendosi vicendevolmente, hanno consacrato la loro arte alla priorità della Parola Poetica, del verso dell’ uomo , del verbo che sin dalla Genesi abbiamo imparato a considerare espressione più autentica della nostra umanità (e divinità). Lo studio del teatro di Luzi può essere un primo passo verso una riconsiderazione più articolata e attenta delle esperienze controcorrente della scena teatrale italiana dal secondo dopoguerra in poi, periodo in cui ha esercitato il proprio dominio un avanguardia guidata dall’ odio per la parola, con funeste conseguenze non solo sul piano delle arti performative rilevabili ancora oggi. Consapevole che la natura drammatica in fondo insita in certa sua lirica ha trovato un eccellente decantazione nella misura teatrale, Luzi si dedicò negli ultimi anni di vita pressoché esclusivamente alla scrittura drammatica quasi dimostrando un’ incapacità a tornare indietro, a lasciar nuovamente disperdere, dopo averlo catturato nella struttura teatrale, l’ intrigo delle voci. Contro la minaccia di abumanizzazione della nostra epoca Luzi ha così esercitato la sua missione di scriba e la sua visione del teatro come rito potentemente umano, come arricchimento di coscienza e di conoscenza per chi ne è l’ interprete e per chi ne è lo spettatore.
Il verso dell uomo. Sul teatro di Mario Luzi / Piazza, Laura. - (2011 Dec 06).
Il verso dell uomo. Sul teatro di Mario Luzi
PIAZZA, LAURA
2011-12-06
Abstract
The paper aims to trace the theater works of Mario Luzi. Through the chapters devoted specifically to the three masterpieces, Libro di Ipazia, Rosales and Hystrio, we examine the Luzi s thought on the tragic. The poet, mindful of the Steiner and Szondi s theories as well as the theological perspectives derived from the philosophy of Teilhard de Chardin, replaces the tragedy itself, impractical in the post-modern age, the concept of 'tragic waste', so the cross victims, unspoken and apparently erased from history, becomes the principal subject of a genre that, while changing style and conventions, brings with it the same lament, the same tragic thought pure and wild on existence. The work also develops through unpublished documents, the cooperation between Luzi s dramaturgy and the pedagogical and spectacular theories of Orazio Costa (friend of the poet and director on several occasions of his plays). We also analyze the influence on the two authors of the Rhapsodic Theatre. The study of the Luzi s theatre is a first step towards a more detailed and careful reconsideration of the experience against the Italian theater scene since World War II onwards, a period in which the vanguard has exercised its dominance guided by hatred for the word, with disastrous consequences - not only in terms of performing arts - observable today. Against the threat of 'abumanizzazione' of our age Luzi has thus exercised his mission of scribe and his vision of theater as ritual powerfully human, as an enrichment of consciousness and knowledge for the interpreter and for viewer.File | Dimensione | Formato | |
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