A partire dall’innovativa e feconda lettura lacaniana della nozione freudiana di “sublimazione” (Il Seminaro. Libro VII. L’Etica della psicoanalisi) articolata, tra l’altro, con quella della ‘catarsi’ aristotelica (Poetica e Politica) e del “sublime” kantiano (Critica del giudizio), si cercherà di descrivere l’anamorfosi di un particolare oggetto ‘sublime’ nei Viceré di Federico De Roberto. Alcune interessanti notazioni intorno alla principessa Teresa di Francalanza sembrano andare incontro a quelle interpretazioni che hanno identificato nella Dame sans merci il Signore feudale (Mi Dom), da cui Donna Teresa non è poi così dissimile se è vero che ha prima amato e poi abbandonato il suo innamoratissimo cavaliere, don Alessandro Tagliavia. L’inaccessibilità di questa inedita dama cortese (Domna) persiste e al contempo svanisce, per il suo ex-amante, in modo assai curioso e derisorio, proprio in occasione della cerimonia funebre durante la quale i ripetuti tentativi di don Alessandro di accostarsi alle insegne − il catafalco e le iscrizioni − della defunta, sono beffardamente intercalati dalle citazioni in latino dell’introito esequiale Requiem aeternam dona eis e, ad epilogo dell’intero episodio, della celebre locuzione giovannea «Sic transit gloria mundi!...». Inoltre le consegne per i funerali, affidate al suo procuratore, confermano da un lato la vocazione al comando della principessa («voglio, ordino, comando, impongo, così voglio e non altrimenti» sono i performativi che si leggono nel «documento» dettato il 19 maggio 1855) e, dall’altro, aggiungono alla sua figura i tratti della devozione e dell’umiltà, che dissimulano forse, a imitazione, o perfino emulazione, dell’antenata Ximena, un sogno di trascendente santità. Non a caso nel capitolo quinto della seconda parte del romanzo il corpo della principessa, «tutta nera in viso», riappare in contiguità e in contrasto con quello «fresco» della beata Ximena. Questo accostamento piuttosto perturbante apre una singolare prospettiva sulla profonda ambiguità dell’immaginazione sublimante nel romanzo derobertiano.
L’oggetto sublime nei Viceré di Federico De Roberto.La leggenda della Beata Ximena.
GALVAGNO, Rosalba
2014-01-01
Abstract
A partire dall’innovativa e feconda lettura lacaniana della nozione freudiana di “sublimazione” (Il Seminaro. Libro VII. L’Etica della psicoanalisi) articolata, tra l’altro, con quella della ‘catarsi’ aristotelica (Poetica e Politica) e del “sublime” kantiano (Critica del giudizio), si cercherà di descrivere l’anamorfosi di un particolare oggetto ‘sublime’ nei Viceré di Federico De Roberto. Alcune interessanti notazioni intorno alla principessa Teresa di Francalanza sembrano andare incontro a quelle interpretazioni che hanno identificato nella Dame sans merci il Signore feudale (Mi Dom), da cui Donna Teresa non è poi così dissimile se è vero che ha prima amato e poi abbandonato il suo innamoratissimo cavaliere, don Alessandro Tagliavia. L’inaccessibilità di questa inedita dama cortese (Domna) persiste e al contempo svanisce, per il suo ex-amante, in modo assai curioso e derisorio, proprio in occasione della cerimonia funebre durante la quale i ripetuti tentativi di don Alessandro di accostarsi alle insegne − il catafalco e le iscrizioni − della defunta, sono beffardamente intercalati dalle citazioni in latino dell’introito esequiale Requiem aeternam dona eis e, ad epilogo dell’intero episodio, della celebre locuzione giovannea «Sic transit gloria mundi!...». Inoltre le consegne per i funerali, affidate al suo procuratore, confermano da un lato la vocazione al comando della principessa («voglio, ordino, comando, impongo, così voglio e non altrimenti» sono i performativi che si leggono nel «documento» dettato il 19 maggio 1855) e, dall’altro, aggiungono alla sua figura i tratti della devozione e dell’umiltà, che dissimulano forse, a imitazione, o perfino emulazione, dell’antenata Ximena, un sogno di trascendente santità. Non a caso nel capitolo quinto della seconda parte del romanzo il corpo della principessa, «tutta nera in viso», riappare in contiguità e in contrasto con quello «fresco» della beata Ximena. Questo accostamento piuttosto perturbante apre una singolare prospettiva sulla profonda ambiguità dell’immaginazione sublimante nel romanzo derobertiano.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.