Levinas’s emphasis on ethics as “first philosophy” invokes the figure of the stranger to suggest mankind’s ontological exile in the house of being, much like an immigrant’s condition with respect to his/her adopted country. This view intersects with the idea of culture developed by diaspora criticism, committed to severing the discourses of ethnicity and nationality from essentialist geopolitical determinants. In this connection, Paul Gilroy has stressed “the advantages of marginality as a hermeneutic standpoint” (1993: 213) by associating ethical alterity with homelessness and internal exile. For Gilroy, it is precisely the trauma of exile which importantly connects black and Jewish histories, allowing to explore deep-rooted kinships between the two cultures on the basis of a shared diasporic identity.I will examine the literary articulations of such concerns by reading Caryl Phillips’s novel The Nature of Blood (1997), his most sustained attempt to cast the ambivalences involved in the production of identification and difference within an ethically grounded model of the Jewish and black Atlantic diasporas. Relying on the “tradition of the ‘other’ voice in British literature” (Phillips 2001: 294), this polyphonic narrative weaves together a vast historical, geographical, thematic and intertextual web. Through its conspicuous “tendency to both experiment with discontinuities of time, and revel in the disruption of conventional narrative order” (292), Phillips’s novel advances an ethically demanding notion of ‘home’, redefined – along with Rushdie (1991: 10) – as a constantly displaced mnemonic and imaginative space.

L’insistenza di Levinas sul primato dell’etica nell’ambito filosofico invoca la figura dello straniero per riferirsi all’esilio ontologico dell’umanità nella casa dell’Essere, secondo una condizione simile a quella dell’immigrato rispetto al paese di adozione. Queste idee si intersecano con l’idea di cultura elaborata dalla critica diasporica, interessata a separare il discorso sull’etnia e la nazionalità da determinanti geopolitiche essenzialiste. A tal proposito, associando l’alterità etica con il nomadismo e l’esilio interno, Paul Gilroy ha sottolineato “i vantaggi della marginalità come prospettiva ermeneutica” (1993: 213). Per Gilroy, è proprio il trauma dell’esilio a connettere significativamente la storia dei neri e degli ebrei, e a rendere possibile l’esplorazione della profonda affinità tra le due culture sulla base di una identità diasporica condivisa.Il presente lavoro esamina le articolazioni letterarie delle problematiche prima specificate attraverso la lettura del romanzo di Caryl Phillips The Nature of Blood (1997) – lo sforzo creativo più ampio compiuto dallo scrittore nella rappresentazione delle ambivalenze implicite nella produzione di identificazioni e differenze entro un modello eticamente fondato della diaspora ebraica e di quella relativa alla tratta dei neri. Fondandosi sulla “tradizione dell’‘altra’ voce nella letteratura inglese” (Phillips 2001: 294), questo romanzo polifonico ordisce una vasta trama storica, geografica, tematica e intertestuale. Attraverso la propria spiccata “tendenza sia alla rappresentazione sperimentale delle discontinuità cronotopiche, sia a indulgere nello scombinamento dell’ordine narrativo convenzionale” (292), il romanzo di Phillips promuove un concetto di ‘madre patria’ eticamente impegnativo, ridefinita – sulla falsariga di Salman Rushdie (1991: 10) – come uno spazio mnemonico e immaginativo costantemente dislocato.

“‘Where a man keeps his memories is the place he should call home’: The Literary Roots/Routes of Caryl Phillips’s Diasporic Imagination in The Nature of Blood”

NICOLOSI, MARIA GRAZIA
2014-01-01

Abstract

Levinas’s emphasis on ethics as “first philosophy” invokes the figure of the stranger to suggest mankind’s ontological exile in the house of being, much like an immigrant’s condition with respect to his/her adopted country. This view intersects with the idea of culture developed by diaspora criticism, committed to severing the discourses of ethnicity and nationality from essentialist geopolitical determinants. In this connection, Paul Gilroy has stressed “the advantages of marginality as a hermeneutic standpoint” (1993: 213) by associating ethical alterity with homelessness and internal exile. For Gilroy, it is precisely the trauma of exile which importantly connects black and Jewish histories, allowing to explore deep-rooted kinships between the two cultures on the basis of a shared diasporic identity.I will examine the literary articulations of such concerns by reading Caryl Phillips’s novel The Nature of Blood (1997), his most sustained attempt to cast the ambivalences involved in the production of identification and difference within an ethically grounded model of the Jewish and black Atlantic diasporas. Relying on the “tradition of the ‘other’ voice in British literature” (Phillips 2001: 294), this polyphonic narrative weaves together a vast historical, geographical, thematic and intertextual web. Through its conspicuous “tendency to both experiment with discontinuities of time, and revel in the disruption of conventional narrative order” (292), Phillips’s novel advances an ethically demanding notion of ‘home’, redefined – along with Rushdie (1991: 10) – as a constantly displaced mnemonic and imaginative space.
2014
9788846738615
L’insistenza di Levinas sul primato dell’etica nell’ambito filosofico invoca la figura dello straniero per riferirsi all’esilio ontologico dell’umanità nella casa dell’Essere, secondo una condizione simile a quella dell’immigrato rispetto al paese di adozione. Queste idee si intersecano con l’idea di cultura elaborata dalla critica diasporica, interessata a separare il discorso sull’etnia e la nazionalità da determinanti geopolitiche essenzialiste. A tal proposito, associando l’alterità etica con il nomadismo e l’esilio interno, Paul Gilroy ha sottolineato “i vantaggi della marginalità come prospettiva ermeneutica” (1993: 213). Per Gilroy, è proprio il trauma dell’esilio a connettere significativamente la storia dei neri e degli ebrei, e a rendere possibile l’esplorazione della profonda affinità tra le due culture sulla base di una identità diasporica condivisa.Il presente lavoro esamina le articolazioni letterarie delle problematiche prima specificate attraverso la lettura del romanzo di Caryl Phillips The Nature of Blood (1997) – lo sforzo creativo più ampio compiuto dallo scrittore nella rappresentazione delle ambivalenze implicite nella produzione di identificazioni e differenze entro un modello eticamente fondato della diaspora ebraica e di quella relativa alla tratta dei neri. Fondandosi sulla “tradizione dell’‘altra’ voce nella letteratura inglese” (Phillips 2001: 294), questo romanzo polifonico ordisce una vasta trama storica, geografica, tematica e intertestuale. Attraverso la propria spiccata “tendenza sia alla rappresentazione sperimentale delle discontinuità cronotopiche, sia a indulgere nello scombinamento dell’ordine narrativo convenzionale” (292), il romanzo di Phillips promuove un concetto di ‘madre patria’ eticamente impegnativo, ridefinita – sulla falsariga di Salman Rushdie (1991: 10) – come uno spazio mnemonico e immaginativo costantemente dislocato.
Caryl Phillips; "The Nature of Blood"; Jewish and Black Atlantic Diaspora; Ontological exile
Caryl Phillips; "The Nature of Blood"; Diaspora ebraica e tratta degli schiavi ; Esilio ontologico
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.11769/88065
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