Il testo ricerca il significato che può assumere il termine "outsider" associato alla parola "theatre", nel gioco della trasposizione tra aggettivi e sostantivi. Scegliere questo binomio dove teatro è inteso nell’accezione di mostrarsi, significa indagare la sua indipendenza, libertà e autonomia, in opposizione alle regole che ne governano il processo creativo e produttivo, o che l’hanno governato nel passato, seguendo una evoluzione circolare. L’architettura è rappresentazione, in quanto teatro o almeno sfondo scenico all’esperienza umana; quindi bisognerebbe chiedersi se l’esperienza umana, e in special modo quella rappresentata dal testo teatrale e musicale e dalla sua messa in opera, prenda un senso speciale a partire dalla rappresentazione architettonica. "I processi della rappresentazione teatrale sono in questo senso doppiamente rappresentativi: di una realtà del teatro come edificio architettonicamente significante e della rappresentazione del testo. Inoltre il teatro, come l’architettura, è una pratica artistica collettiva dove autore dei testi, attori, regia, suoni e scenografie devono convergere in un’opera unica". (V. Gregotti, 2007). Le due arti si misurano entrambe su spazio e tempo, ma l’opera teatrale ha come luogo l’architettura. Con lo scardinarsi delle regole a partire dalla seconda metà del 900, e l’affermarsi della professata indipendenza e nuovo rapporto attori- spettatori, sembrerebbe non esistere più relazione tra spazio e rappresentazione. Ci si interroga: il teatro non ha più bisogno di luoghi? Il teatro non ha più bisogno di una forma prestabilita, rigidamente impostata “sulla relazione frontale, distanziata, passiva e tendenzialmente illusionistica fra spettacolo e spettatore prevista nel teatro “all’italiana”(M. De Marinis)? La flessibilità dello spazio e le sue caratteristiche divengono qualità irrinunciabili per lo spettacolo? I luoghi con la loro storia, le loro cicatrici di una vita trascorsa, possono –nello stridore o nell’assonanza- determinare la base dello spettacolo? Il dove che lo contiene e lo genera sottolinea una indipendenza dal testo? Il contributo indaga su questi interrogativi e sui caratteri di tale indipendenza nel passaggio da "Theatre outsider" ad "Outsider theatre".

Outsider Theatre: recuperare lo spazio scenico tra invarianti architettoniche, contaminazioni drammaturgiche e sconfinamenti

FIORE, Vittorio
Investigation
2017-01-01

Abstract

Il testo ricerca il significato che può assumere il termine "outsider" associato alla parola "theatre", nel gioco della trasposizione tra aggettivi e sostantivi. Scegliere questo binomio dove teatro è inteso nell’accezione di mostrarsi, significa indagare la sua indipendenza, libertà e autonomia, in opposizione alle regole che ne governano il processo creativo e produttivo, o che l’hanno governato nel passato, seguendo una evoluzione circolare. L’architettura è rappresentazione, in quanto teatro o almeno sfondo scenico all’esperienza umana; quindi bisognerebbe chiedersi se l’esperienza umana, e in special modo quella rappresentata dal testo teatrale e musicale e dalla sua messa in opera, prenda un senso speciale a partire dalla rappresentazione architettonica. "I processi della rappresentazione teatrale sono in questo senso doppiamente rappresentativi: di una realtà del teatro come edificio architettonicamente significante e della rappresentazione del testo. Inoltre il teatro, come l’architettura, è una pratica artistica collettiva dove autore dei testi, attori, regia, suoni e scenografie devono convergere in un’opera unica". (V. Gregotti, 2007). Le due arti si misurano entrambe su spazio e tempo, ma l’opera teatrale ha come luogo l’architettura. Con lo scardinarsi delle regole a partire dalla seconda metà del 900, e l’affermarsi della professata indipendenza e nuovo rapporto attori- spettatori, sembrerebbe non esistere più relazione tra spazio e rappresentazione. Ci si interroga: il teatro non ha più bisogno di luoghi? Il teatro non ha più bisogno di una forma prestabilita, rigidamente impostata “sulla relazione frontale, distanziata, passiva e tendenzialmente illusionistica fra spettacolo e spettatore prevista nel teatro “all’italiana”(M. De Marinis)? La flessibilità dello spazio e le sue caratteristiche divengono qualità irrinunciabili per lo spettacolo? I luoghi con la loro storia, le loro cicatrici di una vita trascorsa, possono –nello stridore o nell’assonanza- determinare la base dello spettacolo? Il dove che lo contiene e lo genera sottolinea una indipendenza dal testo? Il contributo indaga su questi interrogativi e sui caratteri di tale indipendenza nel passaggio da "Theatre outsider" ad "Outsider theatre".
2017
978-88-97276
rapporto architettura-teatro; rapporto luogo-testo; flessibilità; spazi abbandonati; riuso
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.11769/302268
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