Nel maggio del 1933, sul primo numero di «Quadrante», Corrado Cagli pubblica il testo I muri ai pittori rivendicando esplicitamente il ruolo educativo e di propaganda della pittura nei grandi edifici pubblici di regime. Alla pittura da cavalletto, riservata a un pubblico ridotto e confinata in interni privati, Cagli contrappone la funzione sociale della pittura murale. Nel dicembre dello stesso anno Mario Sironi, insieme a Massimo Campigli e Carlo Carrà, firma il Manifesto della pittura murale.Nel 1942 sarà la legge 839 a sancire l’obbligo di impiegare una cifra non inferiore al 2% dell’importo dei lavori di costruzione di un edificio pubblico per le opere d’arte figurativa in esso contenute. In questo contesto, tra gli anni Trenta e i primi anni Quaranta, vengono realizzati diversi cicli pittorici destinati alle opere pubbliche: con la tecnica dell’affresco, della tempera, del mosaico o del bassorilievo, l’iconografia cara al regime fascista riveste i muri delle stazioni e degli edifici postali, dei palazzi delle prefetture e delle università. Tra i soggetti ricorrenti anche il tema della costruzione della città: talvolta affrontato in chiave simbolica, talvolta declinato in maniera realistica. La dialettica tra la costruzione reale della nuova città e la sua rappresentazione grafica evidenzia però molte delle aporie del fascismo; nelle raffigurazioni delle città si condensano - con specificità differenti che saranno analizzate attraverso alcuni casi studio - le ambiguità delle retoriche messe in atto dal regime: la mitizzazione del passato (vero o presunto) si affianca alla tensione verso una “città nuova” connotata dai simboli del progresso tecnologico; la propaganda antiurbana contenuta nel motto “sfollare le città” convive con la celebrazione della fondazione di nuovi centri.

Arte e architettura negli anni del fascismo: l'immagine della città nella pittura murale degli edifici pubblici

Paola Barbera
2017-01-01

Abstract

Nel maggio del 1933, sul primo numero di «Quadrante», Corrado Cagli pubblica il testo I muri ai pittori rivendicando esplicitamente il ruolo educativo e di propaganda della pittura nei grandi edifici pubblici di regime. Alla pittura da cavalletto, riservata a un pubblico ridotto e confinata in interni privati, Cagli contrappone la funzione sociale della pittura murale. Nel dicembre dello stesso anno Mario Sironi, insieme a Massimo Campigli e Carlo Carrà, firma il Manifesto della pittura murale.Nel 1942 sarà la legge 839 a sancire l’obbligo di impiegare una cifra non inferiore al 2% dell’importo dei lavori di costruzione di un edificio pubblico per le opere d’arte figurativa in esso contenute. In questo contesto, tra gli anni Trenta e i primi anni Quaranta, vengono realizzati diversi cicli pittorici destinati alle opere pubbliche: con la tecnica dell’affresco, della tempera, del mosaico o del bassorilievo, l’iconografia cara al regime fascista riveste i muri delle stazioni e degli edifici postali, dei palazzi delle prefetture e delle università. Tra i soggetti ricorrenti anche il tema della costruzione della città: talvolta affrontato in chiave simbolica, talvolta declinato in maniera realistica. La dialettica tra la costruzione reale della nuova città e la sua rappresentazione grafica evidenzia però molte delle aporie del fascismo; nelle raffigurazioni delle città si condensano - con specificità differenti che saranno analizzate attraverso alcuni casi studio - le ambiguità delle retoriche messe in atto dal regime: la mitizzazione del passato (vero o presunto) si affianca alla tensione verso una “città nuova” connotata dai simboli del progresso tecnologico; la propaganda antiurbana contenuta nel motto “sfollare le città” convive con la celebrazione della fondazione di nuovi centri.
2017
978-88-255-0510-8
pittura murale, fascismo, arte di regime, architettura
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.11769/321205
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