Le recenti sentenze della Corte di Giustizia su maternità surrogata e diritto a fruire del congedo parentale (D. e Z.) hanno messo in evidenza le aporie di un sistema – innanzitutto nazionale e poi anche sovranzionale – che, pur (in alcuni casi) regolamentando il contratto di maternità surrogata, nulla prevede in merito ai diritti spettanti alla madre committente all’interno del rapporto di lavoro. Si tratta di una vicenda, l’ultima in ordine di tempo, che impone una analisi della normativa riguardante la tutela della maternità e paternità all’interno del rapporto di lavoro e un ripensamento del concetto di genitorialità, su cui ormai è più corretto ragionare alla luce delle trasformazioni sociali avvenute e in corso riguardanti proprio l’essere genitore. Il tema della conciliazione vita/lavoro ha assunto una importanza sempre maggiore nella costruzione del modello sociale dominante; d’altro canto, quello del rapporto tra genitorialità e lavoro, tra conciliazione tempi di lavoro/tempi di vita è senza dubbio un tema che, più di molti altri, condiziona le scelte di vita e di carriera di ciascuno; attraverso il quale, la vita privata entra nel luogo di lavoro; e rispetto a cui le evoluzioni sociali precedono gli interventi legislativi che, a loro volta, appaiono carenti. Il quesito che l’articolo si propone di analizzare è se quello alla genitorialità – intesa in senso neutro – rappresenti un diritto o una mera libertà all’interno del rapporto di lavoro; fino a che punto, cioè, si estendano le tutele riservate a madre e padre genitori all’interno del rapporto di lavoro. Come noto, la normativa delle origini di tutela della maternità è stata costruita – e lo è tuttora in via prevalente – intorno a due pilastri fondamentali: la maternità, intesa come maternità biologica, e il lavoro subordinato. Si tratta di due riferimenti che, nel tempo, sono stati ampliati fino a ricomprendere – ancorché non in misura paritaria – la maternità giuridica (adozione e affidamento), la paternità (pur in misura limitata), da una parte, e il lavoro autonomo e parasubordinato, dall’altra. Per quanto riguarda il primo aspetto, sul quale si è inteso concentrare l’attenzione, il concetto di maternità e paternità appaiono ormai logori, superati da altre realtà affettive fattuali che pretendono di essere equiparate alle famiglie, anche se non sono considerate tali dalla legge. Su questo versante, la giurisprudenza – sia nazionale sia sovranazionale – sta svolgendo un ruolo molto importante nel processo di riconoscimento della figura del cd. genitore sociale, attraverso la valorizzazione delle norme che, nella CEDU e nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, garantiscono il rispetto della vita privata familiare e la tutela dei diritti del bambino. L’attribuzione di diritti – ancorché non pieni – ai genitori sociali in particolare e il superamento del concetto tradizionale di famiglia, in generale, dovrebbero essere accompagnati dal ripensamento del corredo dei diritti dei genitori all’interno del rapporto di lavoro che sia adeguato alle nuove realtà (famiglie omosessuali, maternità surrogata). E che sia carente l’attuale normativa in vigore lo ha dimostrato quella giurisprudenza sulla maternità surrogata a partire dalla quale il discorso ha preso le mosse e che, si può facilmente immaginare, sarà sempre più copiosa. Appaiono evidenti la mancanza di connessione tra i diversi rami del diritto e l’ormai acclarata inadeguatezza di una normativa che continua a essere costruita intorno alla maternità biologica, ormai ampiamente superata. A conclusione delle riflessioni svolte si tenterà di tirare le fila del ragionamento, affermando la fondatezza della pretesa di un diritto alla genitorialità, intesa in senso neutro, e tentando di individuare gli strumenti di cui, ad oggi, l’ordinamento dispone per garantire la fruizione dei diritti connessi al riconoscimento dello status di genitore all’interno del rapporto di lavoro.

Genitorialità e lavoro. Diritto o libertà?

Militello
2018-01-01

Abstract

Le recenti sentenze della Corte di Giustizia su maternità surrogata e diritto a fruire del congedo parentale (D. e Z.) hanno messo in evidenza le aporie di un sistema – innanzitutto nazionale e poi anche sovranzionale – che, pur (in alcuni casi) regolamentando il contratto di maternità surrogata, nulla prevede in merito ai diritti spettanti alla madre committente all’interno del rapporto di lavoro. Si tratta di una vicenda, l’ultima in ordine di tempo, che impone una analisi della normativa riguardante la tutela della maternità e paternità all’interno del rapporto di lavoro e un ripensamento del concetto di genitorialità, su cui ormai è più corretto ragionare alla luce delle trasformazioni sociali avvenute e in corso riguardanti proprio l’essere genitore. Il tema della conciliazione vita/lavoro ha assunto una importanza sempre maggiore nella costruzione del modello sociale dominante; d’altro canto, quello del rapporto tra genitorialità e lavoro, tra conciliazione tempi di lavoro/tempi di vita è senza dubbio un tema che, più di molti altri, condiziona le scelte di vita e di carriera di ciascuno; attraverso il quale, la vita privata entra nel luogo di lavoro; e rispetto a cui le evoluzioni sociali precedono gli interventi legislativi che, a loro volta, appaiono carenti. Il quesito che l’articolo si propone di analizzare è se quello alla genitorialità – intesa in senso neutro – rappresenti un diritto o una mera libertà all’interno del rapporto di lavoro; fino a che punto, cioè, si estendano le tutele riservate a madre e padre genitori all’interno del rapporto di lavoro. Come noto, la normativa delle origini di tutela della maternità è stata costruita – e lo è tuttora in via prevalente – intorno a due pilastri fondamentali: la maternità, intesa come maternità biologica, e il lavoro subordinato. Si tratta di due riferimenti che, nel tempo, sono stati ampliati fino a ricomprendere – ancorché non in misura paritaria – la maternità giuridica (adozione e affidamento), la paternità (pur in misura limitata), da una parte, e il lavoro autonomo e parasubordinato, dall’altra. Per quanto riguarda il primo aspetto, sul quale si è inteso concentrare l’attenzione, il concetto di maternità e paternità appaiono ormai logori, superati da altre realtà affettive fattuali che pretendono di essere equiparate alle famiglie, anche se non sono considerate tali dalla legge. Su questo versante, la giurisprudenza – sia nazionale sia sovranazionale – sta svolgendo un ruolo molto importante nel processo di riconoscimento della figura del cd. genitore sociale, attraverso la valorizzazione delle norme che, nella CEDU e nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, garantiscono il rispetto della vita privata familiare e la tutela dei diritti del bambino. L’attribuzione di diritti – ancorché non pieni – ai genitori sociali in particolare e il superamento del concetto tradizionale di famiglia, in generale, dovrebbero essere accompagnati dal ripensamento del corredo dei diritti dei genitori all’interno del rapporto di lavoro che sia adeguato alle nuove realtà (famiglie omosessuali, maternità surrogata). E che sia carente l’attuale normativa in vigore lo ha dimostrato quella giurisprudenza sulla maternità surrogata a partire dalla quale il discorso ha preso le mosse e che, si può facilmente immaginare, sarà sempre più copiosa. Appaiono evidenti la mancanza di connessione tra i diversi rami del diritto e l’ormai acclarata inadeguatezza di una normativa che continua a essere costruita intorno alla maternità biologica, ormai ampiamente superata. A conclusione delle riflessioni svolte si tenterà di tirare le fila del ragionamento, affermando la fondatezza della pretesa di un diritto alla genitorialità, intesa in senso neutro, e tentando di individuare gli strumenti di cui, ad oggi, l’ordinamento dispone per garantire la fruizione dei diritti connessi al riconoscimento dello status di genitore all’interno del rapporto di lavoro.
2018
978-88-917-6184-2
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.11769/326314
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