I risultati delle elezioni del 2 giugno 1946 confermarono la presenza di "due Italie", considerato che, in estrema sintesi, se nel centro-nord due terzi dei votanti si espressero a favore della Repubblica, nel comparto meridionale, comprese le isole, furono invece due terzi dei votanti a scegliere la monarchia. Purtuttavia, come ha riconosciuto una parte della storiografia più recente, riprendere ancora oggi acriticamente la visione dicotomica di un Mezzogiorno arretrato, immobile e reazionario rischia non soltanto di oscurare la sua complessità politica e sociale e il contributo alla democrazia che pure fu dato da componenti sociali significative ma anche di disconoscere la disomogeneità territoriale che il voto referendario del 1946 mise in evidenza. Soprattutto in Puglia e in Sicilia si segnalarono per degli scarti ampi (circa del 30%) tra il risultato filorepubblicano delle province e quello filomonarchico dei capoluoghi. In città operaie come Taranto, Castellammare di Stabia o Torre Annunziata, o nelle agrotowns, come Andria, Cerignola, Vittoria, Lentini la repubblica superò il 50% e in alcuni casi come Erice e Marsala toccò addirittura il 70%. Esiste dunque una territorialità della Repubblica nelle regioni meridionali che merita di essere studiata e valutata. Anche il Mezzogiorno fornisce materiale di ricerca per ricostruire non solo la memoria delle forze politiche e le narrazioni istituzionali e mediatiche, ma anche la sedimentazione nella cultura politica e identitaria, propria di determinate comunità locali, di una tradizione che identifica il patriottismo repubblicano con la democrazia, magari collegandola al passato risorgimentale, e i valori della nostra Costituzione.
La territorialità della Repubblica: il 2 giugno 1946 nel Mezzogiorno e la disomogeneità del voto urbano. Prospettive di ricerca
Giovanni Schininà
2018-01-01
Abstract
I risultati delle elezioni del 2 giugno 1946 confermarono la presenza di "due Italie", considerato che, in estrema sintesi, se nel centro-nord due terzi dei votanti si espressero a favore della Repubblica, nel comparto meridionale, comprese le isole, furono invece due terzi dei votanti a scegliere la monarchia. Purtuttavia, come ha riconosciuto una parte della storiografia più recente, riprendere ancora oggi acriticamente la visione dicotomica di un Mezzogiorno arretrato, immobile e reazionario rischia non soltanto di oscurare la sua complessità politica e sociale e il contributo alla democrazia che pure fu dato da componenti sociali significative ma anche di disconoscere la disomogeneità territoriale che il voto referendario del 1946 mise in evidenza. Soprattutto in Puglia e in Sicilia si segnalarono per degli scarti ampi (circa del 30%) tra il risultato filorepubblicano delle province e quello filomonarchico dei capoluoghi. In città operaie come Taranto, Castellammare di Stabia o Torre Annunziata, o nelle agrotowns, come Andria, Cerignola, Vittoria, Lentini la repubblica superò il 50% e in alcuni casi come Erice e Marsala toccò addirittura il 70%. Esiste dunque una territorialità della Repubblica nelle regioni meridionali che merita di essere studiata e valutata. Anche il Mezzogiorno fornisce materiale di ricerca per ricostruire non solo la memoria delle forze politiche e le narrazioni istituzionali e mediatiche, ma anche la sedimentazione nella cultura politica e identitaria, propria di determinate comunità locali, di una tradizione che identifica il patriottismo repubblicano con la democrazia, magari collegandola al passato risorgimentale, e i valori della nostra Costituzione.File | Dimensione | Formato | |
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