Mario Bertoncini (1932-2019) elaborò già dagli anni Sessanta, sul solco delle esperienze di Cage e di altri compositori della neoavanguardia internazionale, una personale concezione di teatro musicale quale interazione organica, reciprocamente funzionale e auto-referente degli elementi mediali di base, assegnandole l’etichetta – in parte provocatoria – di ‘teatro della realtà’. Entro tale progetto teorico-pratico, in parte derivato dall’istanza di razionalizzazione integrale della composizione seriale estesa anche ai materiali eteronomi – gestuali, visuali – del teatro musicale, ma animato pure da una carica interdisciplinare di notevole energia sperimentale, una prima grande fase si chiuse per Bertoncini con il complesso allestimento di Spazio-Tempo alla Biennale di Venezia del 1970. Nel riprendere le fila del percorso creativo, trasferitosi nel 1973 a Berlino quale composer-in-residence del programma DAAD, Bertoncini approfondì alcuni aspetti della ricerca precedenti (l’interazione dal vivo tra gesto luce e suono, senza bisogno di una partitura, in Focus; il movimento del suono e dei performer nello spazio, in Pavana; la progettazione di un environment semi-automatico di suoni e ombre, in Bhèri), aprendo contestualmente un altro fronte di sperimentazione: in Chain Reaction, realizzato insieme all’op-artist Peter Sedgley, impiega per la prima volta strumenti eolici da lui stesso fabbricati, interagenti dal vivo – ancora senza necessità di partitura – con un sistema di decodifica suono-colore in modo che i due segnali siano al contempo materiali di un’avvolgente esperienza sonoro-luminosa e controlli incrociati ‘aperti’ per l’altro segnale. I quattro lavori sono stati analizzati ricorrendo sia alle partiture originali – ove esistenti – presso l’archivio personale del compositore, sia agli schizzi conservati presso l’Akademie der Künste, Berlin.

Dopo Spazio-Tempo: altri passaggi del "teatro della realtà" (1973-74), tra environment e inter-media

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2017-01-01

Abstract

Mario Bertoncini (1932-2019) elaborò già dagli anni Sessanta, sul solco delle esperienze di Cage e di altri compositori della neoavanguardia internazionale, una personale concezione di teatro musicale quale interazione organica, reciprocamente funzionale e auto-referente degli elementi mediali di base, assegnandole l’etichetta – in parte provocatoria – di ‘teatro della realtà’. Entro tale progetto teorico-pratico, in parte derivato dall’istanza di razionalizzazione integrale della composizione seriale estesa anche ai materiali eteronomi – gestuali, visuali – del teatro musicale, ma animato pure da una carica interdisciplinare di notevole energia sperimentale, una prima grande fase si chiuse per Bertoncini con il complesso allestimento di Spazio-Tempo alla Biennale di Venezia del 1970. Nel riprendere le fila del percorso creativo, trasferitosi nel 1973 a Berlino quale composer-in-residence del programma DAAD, Bertoncini approfondì alcuni aspetti della ricerca precedenti (l’interazione dal vivo tra gesto luce e suono, senza bisogno di una partitura, in Focus; il movimento del suono e dei performer nello spazio, in Pavana; la progettazione di un environment semi-automatico di suoni e ombre, in Bhèri), aprendo contestualmente un altro fronte di sperimentazione: in Chain Reaction, realizzato insieme all’op-artist Peter Sedgley, impiega per la prima volta strumenti eolici da lui stesso fabbricati, interagenti dal vivo – ancora senza necessità di partitura – con un sistema di decodifica suono-colore in modo che i due segnali siano al contempo materiali di un’avvolgente esperienza sonoro-luminosa e controlli incrociati ‘aperti’ per l’altro segnale. I quattro lavori sono stati analizzati ricorrendo sia alle partiture originali – ove esistenti – presso l’archivio personale del compositore, sia agli schizzi conservati presso l’Akademie der Künste, Berlin.
2017
978-88-9391-238-9
Intermedia, Music Theatre, Environment, Aeolian Instruments, Berlin
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.11769/359885
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