Giovanni Gambini e Domenico Tempio sono due scrittori rappresentativi di una importante stagione della storia e della cultura siciliana. Di Gambini, amico di Tempio e vissuto a Catania fino al 1797 (anno in cui fu costretto ad abbandonare definitivamente l’isola a causa delle sue idee giacobine), ci resta un volume di memorie e un ponderoso Corso di Letteratura italiana, entrambi composti in lingua francese quando si trovava già a Ginevra, città che l’aveva accolto nell’esilio e in cui visse il resto dei suoi anni. Il saggio si focalizza sul Corso di Letteratura italiana, ad oggi inedito, di cui sono presentati alcuni brevi stralci che illustrano l’impostazione critica del catanese: una storiografia della letteratura per medaglioni, con un’ampia appendice dedicata alla lingua, presentata come sintesi di opinioni critiche personali dalle quali il colto uditorio potrà trarre alcune suggestioni in modo individuale. Attraverso un dialogo ideale e costante con altri studiosi, come Sismondi e Ginguené, Gambini si accosta alla critica più affermata ma senza rinunciare alla propria autonomia e mantenendo costante la tensione politica che anima la scrittura spingendolo a focalizzarsi sull’insegnamento morale e civile degli autori trattati. Una tensione che l’aveva accomunato con Domenico Tempio, almeno negli anni giovanili. Pure se il poeta catanese si legò in seguito al patriziato cittadino, per fuggire la miseria, in lui permangono – come il contributo evidenzia – le tracce dei furori giacobini giovanili. Essi si traducono in una radicale insofferenza per ogni disuguaglianza sociale, per l’arroganza dei ceti più abbienti, e informano i versi con la sofferenza del veder misconosciuta la dignità umana.

“Inni alla patria ed alla libertà”: Giovanni Gambini e Domenico Tempio

Agnese Amaduri
2010-01-01

Abstract

Giovanni Gambini e Domenico Tempio sono due scrittori rappresentativi di una importante stagione della storia e della cultura siciliana. Di Gambini, amico di Tempio e vissuto a Catania fino al 1797 (anno in cui fu costretto ad abbandonare definitivamente l’isola a causa delle sue idee giacobine), ci resta un volume di memorie e un ponderoso Corso di Letteratura italiana, entrambi composti in lingua francese quando si trovava già a Ginevra, città che l’aveva accolto nell’esilio e in cui visse il resto dei suoi anni. Il saggio si focalizza sul Corso di Letteratura italiana, ad oggi inedito, di cui sono presentati alcuni brevi stralci che illustrano l’impostazione critica del catanese: una storiografia della letteratura per medaglioni, con un’ampia appendice dedicata alla lingua, presentata come sintesi di opinioni critiche personali dalle quali il colto uditorio potrà trarre alcune suggestioni in modo individuale. Attraverso un dialogo ideale e costante con altri studiosi, come Sismondi e Ginguené, Gambini si accosta alla critica più affermata ma senza rinunciare alla propria autonomia e mantenendo costante la tensione politica che anima la scrittura spingendolo a focalizzarsi sull’insegnamento morale e civile degli autori trattati. Una tensione che l’aveva accomunato con Domenico Tempio, almeno negli anni giovanili. Pure se il poeta catanese si legò in seguito al patriziato cittadino, per fuggire la miseria, in lui permangono – come il contributo evidenzia – le tracce dei furori giacobini giovanili. Essi si traducono in una radicale insofferenza per ogni disuguaglianza sociale, per l’arroganza dei ceti più abbienti, e informano i versi con la sofferenza del veder misconosciuta la dignità umana.
2010
88-85127-53-3
Ottocento, Catania, esilio, letteratura satirica, trattatistica
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