Una delle rotture che il neoplatonismo ha operato all’interno della tradizione platonica con-siste nel fatto che esso ha liberato il platonismo classico dalla prigione in cui l’aristotelismo era riuscito a coartare qualunque discorso metafisico, compreso – ovviamente – quello platonico, che aveva sempre osteggiato, e precisamente dalla prigione dell’ontologia. Vanificando quella tensione che spingeva l’antico platonismo al superamento dell’ontologia tramite l’assiologia […], l’aristotelismo, temibile avversario interno del platonismo, aveva immobilizzato l’intera problematica metafisica entro i confini di un rigoroso “ontologismo”. Orbene, Il neoplatonismo ha infranto quella prigione con una operazione di “ingabbiamento” – e quindi di rovesciamento – della vecchia metafisica aristotelica (ma sostanzialmente anche platonica), dentro una “iperme-tafisica” che rappresentò esattamente l’opposto dell’ontologia classica (e che talora è stata chiamata me-ontologia). Il neoplatonismo, infatti, teorizza che l’essere, anche nella sua forma piú universale, quella cioè dell’essere intelligibile [questo vale, oltre che per il platonismo, an-che per l’aristotelismo: il pensare (e, quindi l’essere pensato) costituisce il grado piú elevato e nobile dell’essere], è “ipostasi” non di livello primario, bensí di livello derivato dai Principi, e – in ultima istanza – da quel Principio che trascende qualunque distinzione tra essere e non-essere, fino ad arrivare alla paradossale asserzione secondo cui la vera realtà, quella cioè che pre-cede l’essere e il suo contrario, si può attingere per via non già conoscitiva, bensì analogica e simbolica, attraverso quella “negazione della negazione” che Proclo indica con un termine che risale al linguaggio logico degli Stoici: uJperapovfasi~. Il neoplatonismo, perciò, rappresenta lo sbocco inevitabile della crisi dell’ontologia classica.

Sul fatto che ciò che è al di là dell’essere non pensa

Giovanna R. Giardina
2020-01-01

Abstract

Una delle rotture che il neoplatonismo ha operato all’interno della tradizione platonica con-siste nel fatto che esso ha liberato il platonismo classico dalla prigione in cui l’aristotelismo era riuscito a coartare qualunque discorso metafisico, compreso – ovviamente – quello platonico, che aveva sempre osteggiato, e precisamente dalla prigione dell’ontologia. Vanificando quella tensione che spingeva l’antico platonismo al superamento dell’ontologia tramite l’assiologia […], l’aristotelismo, temibile avversario interno del platonismo, aveva immobilizzato l’intera problematica metafisica entro i confini di un rigoroso “ontologismo”. Orbene, Il neoplatonismo ha infranto quella prigione con una operazione di “ingabbiamento” – e quindi di rovesciamento – della vecchia metafisica aristotelica (ma sostanzialmente anche platonica), dentro una “iperme-tafisica” che rappresentò esattamente l’opposto dell’ontologia classica (e che talora è stata chiamata me-ontologia). Il neoplatonismo, infatti, teorizza che l’essere, anche nella sua forma piú universale, quella cioè dell’essere intelligibile [questo vale, oltre che per il platonismo, an-che per l’aristotelismo: il pensare (e, quindi l’essere pensato) costituisce il grado piú elevato e nobile dell’essere], è “ipostasi” non di livello primario, bensí di livello derivato dai Principi, e – in ultima istanza – da quel Principio che trascende qualunque distinzione tra essere e non-essere, fino ad arrivare alla paradossale asserzione secondo cui la vera realtà, quella cioè che pre-cede l’essere e il suo contrario, si può attingere per via non già conoscitiva, bensì analogica e simbolica, attraverso quella “negazione della negazione” che Proclo indica con un termine che risale al linguaggio logico degli Stoici: uJperapovfasi~. Il neoplatonismo, perciò, rappresenta lo sbocco inevitabile della crisi dell’ontologia classica.
2020
9783896658166
Neoplatonismo, Plotino, Metafisica, Uno, Intelletto, Pensiero
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.11769/396307
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