Preso in prestito dal portoghese negro, durante la tratta degli schiavi nel XVI secolo, e derivante ovviamente dal latino niger, che vuol dire nero, scuro, funesto e malvagio, il termine francese nègre definisce anch’esso in modo metonimico – come lo indica la sua stessa etimologia – una persona di razza nera con un passato da schiavo. I primi a parlarne, nel 1529, sono i fratelli Jean e Raoul Parmentier all’interno del loro Voyage à Sumatra nel quale definiscono come nègres gli schiavi dell’allora isola di Santo Domingo, oggi Haiti. Le radici della parola nègre affondano pertanto nel passato schiavista della Francia , un periodo di tre secoli compreso tra il XVII e il XIX secolo. In seguito all’abolizione della schiavitù, avvenuta il 27 maggio 1848, lo schiavismo delle origini cede il passo a una nuova forma di dominazione che prende il nome di colonialismo. Questa pratica di conquista piuttosto invasiva, in cerca di ricchezza e materie prime, ha come denominatore comune l’annientamento delle popolazioni autoctone e l’insediamento dei francesi metropolitani, delegati principalmente alla speculazione economica dei territori e alla diffusione della propria lingua e cultura ritenuta per l’appunto “superiore”. I profitti ottenuti dalle colonie dovevano alimentare la Seconda Rivoluzione industriale (1870-1945) e accontentare di conseguenza i bisogni sempre più imperanti del capitalismo nascente con le sue ferree regole di consumo e di produzione di massa. Verso la fine dell’Ottocento non si parla più, pertanto, di tratta degli schiavi, bensì di una nuova forma di schiavitù industriale dedita allo sfruttamento fisico e umano dell’operaio impiegato adesso “come un negro” all’interno delle alienanti catene di montaggio. D’ora in poi la parola nègre verrà utilizzata anche per definire una persona che lavora faticosamente e senza alcun riconoscimento dei propri diritti. Prettamente ambiguo, il termine risponde, durante la fin de siècle, al fascino dell’esotico, ma contiene anche il significato dispregiativo di sottomesso e conferisce di conseguenza allo sfruttatore la funzione di soggetto dominante e quindi di uomo di potere. Questa pratica, soprattutto nell’era industriale, si estende anche all’ambito della produzione letteraria, adattando la metafora della subordinazione imperialista e schiavista francese alla creazione letteraria e istituendo così la figura emblematica dell’écrivain nègre (o fantasma).

Willy e l’oscuro patto autoriale con gli écrivains nègres nelle officine letterarie fin de siècle

F. IMPELLIZZERI
2020-01-01

Abstract

Preso in prestito dal portoghese negro, durante la tratta degli schiavi nel XVI secolo, e derivante ovviamente dal latino niger, che vuol dire nero, scuro, funesto e malvagio, il termine francese nègre definisce anch’esso in modo metonimico – come lo indica la sua stessa etimologia – una persona di razza nera con un passato da schiavo. I primi a parlarne, nel 1529, sono i fratelli Jean e Raoul Parmentier all’interno del loro Voyage à Sumatra nel quale definiscono come nègres gli schiavi dell’allora isola di Santo Domingo, oggi Haiti. Le radici della parola nègre affondano pertanto nel passato schiavista della Francia , un periodo di tre secoli compreso tra il XVII e il XIX secolo. In seguito all’abolizione della schiavitù, avvenuta il 27 maggio 1848, lo schiavismo delle origini cede il passo a una nuova forma di dominazione che prende il nome di colonialismo. Questa pratica di conquista piuttosto invasiva, in cerca di ricchezza e materie prime, ha come denominatore comune l’annientamento delle popolazioni autoctone e l’insediamento dei francesi metropolitani, delegati principalmente alla speculazione economica dei territori e alla diffusione della propria lingua e cultura ritenuta per l’appunto “superiore”. I profitti ottenuti dalle colonie dovevano alimentare la Seconda Rivoluzione industriale (1870-1945) e accontentare di conseguenza i bisogni sempre più imperanti del capitalismo nascente con le sue ferree regole di consumo e di produzione di massa. Verso la fine dell’Ottocento non si parla più, pertanto, di tratta degli schiavi, bensì di una nuova forma di schiavitù industriale dedita allo sfruttamento fisico e umano dell’operaio impiegato adesso “come un negro” all’interno delle alienanti catene di montaggio. D’ora in poi la parola nègre verrà utilizzata anche per definire una persona che lavora faticosamente e senza alcun riconoscimento dei propri diritti. Prettamente ambiguo, il termine risponde, durante la fin de siècle, al fascino dell’esotico, ma contiene anche il significato dispregiativo di sottomesso e conferisce di conseguenza allo sfruttatore la funzione di soggetto dominante e quindi di uomo di potere. Questa pratica, soprattutto nell’era industriale, si estende anche all’ambito della produzione letteraria, adattando la metafora della subordinazione imperialista e schiavista francese alla creazione letteraria e istituendo così la figura emblematica dell’écrivain nègre (o fantasma).
2020
9788857565620
Scrittura fantasma, fin de siècle, Willy, Colette
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.11769/470021
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