L’istituto dell’assegno di divorzio è stato interessato in Italia, negli ultimi tre anni, da una profonda evoluzione, di matrice giurisprudenziale, volta a renderlo più rispondente alla realtà mutevole dei modelli familiari attuali . L'orientamento consolidato, che a partire dalle sentenze delle Sezioni Unite del 1990 per circa trent'anni ha subordinato la concessione dell’assegno all’inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente alla conservazione del tenore di vita matrimoniale, rispecchiava il modello tradizionale di famiglia, basato su una rigida divisione dei ruoli tra il marito e la moglie e sul sacrificio delle aspettative professionali di quest’ultima a favore della cura della casa e dei figli, oltre che sulla durata tendenzialmente lunga del matrimonio . Mentre in altri ordinamenti vicini al nostro, come la Francia e la Germania, la disciplina del mantenimento a favore del coniuge divorziato è stata interessata nel primo decennio degli anni 2000 da importanti riforme legislative, volte ad attuare sul piano economico il principio della dissolubilità del matrimonio, non è stato così in Italia, dove si è dovuto attendere il 2017, anno nel quale la Prima Sezione civile della Cassazione – distaccandosi dall’orientamento tradizionale – ha collegato il riconoscimento dell’assegno di divorzio all’assenza di indipendenza economica del coniuge richiedente, criterio più rispondente al principio di autoresponsabilità del coniuge divorziato, privilegiato da altri ordinamenti europei ed enunciato nei Principi CEFL, di cui si dirà . Questa soluzione, nell’escludere che il coniuge divorziato dotato di indipendenza economica avesse diritto all’assegno, finiva però per non dare rilevanza al vissuto familiare e alle aspettative di partecipazione a quanto nel corso del medesimo si era realizzato, come sarebbe stato necessario in attuazione del principio costituzionale di parità o, secondo un’altra opinione, del valore della solidarietà post-coniugale . La svolta del nostro ordinamento in favore dell’autoresponsabilità non è durata, però, a lungo. Già l’anno successivo sono intervenute, com’è noto, le Sezioni Unite della Cassazione, le quali hanno riconosciuto all’assegno divorzile una natura composita, non più soltanto assistenziale, ma anche (anzi, secondo alcuni passaggi della motivazione, prevalentemente) «perequativo-compensativa» . Ciò perché i parametri di determinazione dell’assegno divorzile indicati nell’art. 5, comma 6 l. div., prima parte – che fanno riferimento, tra l’altro, al contributo fornito dal richiedente alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio dell’altro coniuge e di quello comune – trovando fondamento nel principio costituzionale di parità tra i coniugi, devono incidere non soltanto sulla quantificazione dell’assegno, come si era fino a quel momento ritenuto, ma anche sulla sua attribuzione.
Dal sistema alle riforme: l'assegno di divorzio
Claudia Benanti
2020-01-01
Abstract
L’istituto dell’assegno di divorzio è stato interessato in Italia, negli ultimi tre anni, da una profonda evoluzione, di matrice giurisprudenziale, volta a renderlo più rispondente alla realtà mutevole dei modelli familiari attuali . L'orientamento consolidato, che a partire dalle sentenze delle Sezioni Unite del 1990 per circa trent'anni ha subordinato la concessione dell’assegno all’inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente alla conservazione del tenore di vita matrimoniale, rispecchiava il modello tradizionale di famiglia, basato su una rigida divisione dei ruoli tra il marito e la moglie e sul sacrificio delle aspettative professionali di quest’ultima a favore della cura della casa e dei figli, oltre che sulla durata tendenzialmente lunga del matrimonio . Mentre in altri ordinamenti vicini al nostro, come la Francia e la Germania, la disciplina del mantenimento a favore del coniuge divorziato è stata interessata nel primo decennio degli anni 2000 da importanti riforme legislative, volte ad attuare sul piano economico il principio della dissolubilità del matrimonio, non è stato così in Italia, dove si è dovuto attendere il 2017, anno nel quale la Prima Sezione civile della Cassazione – distaccandosi dall’orientamento tradizionale – ha collegato il riconoscimento dell’assegno di divorzio all’assenza di indipendenza economica del coniuge richiedente, criterio più rispondente al principio di autoresponsabilità del coniuge divorziato, privilegiato da altri ordinamenti europei ed enunciato nei Principi CEFL, di cui si dirà . Questa soluzione, nell’escludere che il coniuge divorziato dotato di indipendenza economica avesse diritto all’assegno, finiva però per non dare rilevanza al vissuto familiare e alle aspettative di partecipazione a quanto nel corso del medesimo si era realizzato, come sarebbe stato necessario in attuazione del principio costituzionale di parità o, secondo un’altra opinione, del valore della solidarietà post-coniugale . La svolta del nostro ordinamento in favore dell’autoresponsabilità non è durata, però, a lungo. Già l’anno successivo sono intervenute, com’è noto, le Sezioni Unite della Cassazione, le quali hanno riconosciuto all’assegno divorzile una natura composita, non più soltanto assistenziale, ma anche (anzi, secondo alcuni passaggi della motivazione, prevalentemente) «perequativo-compensativa» . Ciò perché i parametri di determinazione dell’assegno divorzile indicati nell’art. 5, comma 6 l. div., prima parte – che fanno riferimento, tra l’altro, al contributo fornito dal richiedente alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio dell’altro coniuge e di quello comune – trovando fondamento nel principio costituzionale di parità tra i coniugi, devono incidere non soltanto sulla quantificazione dell’assegno, come si era fino a quel momento ritenuto, ma anche sulla sua attribuzione.File | Dimensione | Formato | |
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