Per alcuni traduttori bilingue, nati e cresciuti all’ombra di due culture diverse, la traduzione è una questione molto seria, paragonabile a quella della costruzione identitaria del sé nei figli contesi tra due genitori separati. Alla ricerca perenne di una completezza, il traduttore dalla doppia lingua, anima e cultura insegue l’altra parte di sé così come accadde allo sventurato Narciso che per completarsi nel suo stesso riflesso rimase inghiottito e annegato nello specchio d’acqua. Sembra quasi che, per il traduttore bilingue, superare quel confine sottile tra le due culture di appartenenza sia un punto di non ritorno o peggio la condanna eterna a una realtà linguistica e culturale schizofrenica che in Carlos Batista, figlio dell’emigrazione portoghese in Francia, ritroviamo esorcizzata attraverso la pratica traduttiva e scrittoria. Diviso tra Francia e Portogallo, tra il suo presente e le sue origini, il veicolare e il vernacolare, Batista si colloca come un funambolo sospeso sopra il confine che separa i suoi due universi, i quali sembrano non raggiungere mai una osmosi se non attraverso l’esercizio traviante o riparatorio della traduzione. Per di più, egli si pone, nel suo continuo andirivieni linguistico, in quella tipica postura indistinta, camaleontica e clandestina dell’amante che gli autorizza – oltre alla sua inevitabile infedeltà – quel genere di intrusione che lo trasforma in mediatore dell’entre-deux, in “ombra” tra i suoi due mondi, la Francia e il Portogallo; la traduzione rappresenta allora la fusione delle sue due identità in un unicum.
La traduzione o il rovescio dell’ombra silenziosa di Carlos Batista
F. IMPELLIZZERI
2021-01-01
Abstract
Per alcuni traduttori bilingue, nati e cresciuti all’ombra di due culture diverse, la traduzione è una questione molto seria, paragonabile a quella della costruzione identitaria del sé nei figli contesi tra due genitori separati. Alla ricerca perenne di una completezza, il traduttore dalla doppia lingua, anima e cultura insegue l’altra parte di sé così come accadde allo sventurato Narciso che per completarsi nel suo stesso riflesso rimase inghiottito e annegato nello specchio d’acqua. Sembra quasi che, per il traduttore bilingue, superare quel confine sottile tra le due culture di appartenenza sia un punto di non ritorno o peggio la condanna eterna a una realtà linguistica e culturale schizofrenica che in Carlos Batista, figlio dell’emigrazione portoghese in Francia, ritroviamo esorcizzata attraverso la pratica traduttiva e scrittoria. Diviso tra Francia e Portogallo, tra il suo presente e le sue origini, il veicolare e il vernacolare, Batista si colloca come un funambolo sospeso sopra il confine che separa i suoi due universi, i quali sembrano non raggiungere mai una osmosi se non attraverso l’esercizio traviante o riparatorio della traduzione. Per di più, egli si pone, nel suo continuo andirivieni linguistico, in quella tipica postura indistinta, camaleontica e clandestina dell’amante che gli autorizza – oltre alla sua inevitabile infedeltà – quel genere di intrusione che lo trasforma in mediatore dell’entre-deux, in “ombra” tra i suoi due mondi, la Francia e il Portogallo; la traduzione rappresenta allora la fusione delle sue due identità in un unicum.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.