Il fenomeno delle migrazioni oggi è tanto ampio nel mondo e talmente profonde ne sono le conseguenze che alcuni studiosi hanno proposto di definire l’epoca in cui viviamo come l’“era di migrazioni”. Ora anche l’Italia fa parte a pieno titolo di questo scenario internazionale, nel ruolo in parte convergente e in parte antitetico di patria d’origine e terra d’accoglienza per milioni di persone. Ciò ha portato a un nuovo “sincretismo italofono” (Reichardt-Moll) e alla necessità di una nuova ottica, transculturale, con cui guardare alle frontiere del nostro paese, oramai fluide sia in senso geografico sia identitario. Negli ultimi tre decenni, poi, l’Italia ha visto crescere il numero di autori di origine straniera che hanno scritto le proprie opere in italiano, prima a quattro mani con giornalisti o scrittori italiani e poi autonomamente (Gnisci, Mengozzi, Cartago). Si tratta di scrittori immigrati di prima o seconda generazione, la cui provenienza è eterogenea come lo è il profilo delle comunità alloglotte in Italia, e le cui opere in molti casi sono di estremo interesse non solo per un’analisi del loro tessuto linguistico e dei diversi apporti che da esse possono giungere alla lingua italiana, ma anche per i numerosissimi aspetti metalinguistici, di varia natura, contenuti nei testi. Scrivere in una lingua seconda, infatti, può conferire un’ottica straniante che consente di guardare da nuove prospettive sia la lingua di provenienza che quella di arrivo. La nuova lingua, in particolare, è continuamente sperimentata con curiosità e interesse, ma può anche essere vista come una lingua ostile, che copre e assimila a sè le sonorità, le strutture e le idee della lingua materna. Dai testi di autori di origine non italiana è possibile ricavare dunque moltissime osservazioni metalinguistiche che documentano come essi siano arrivati ad acquisire l’italiano come L2 o come nella loro pratica quotidiana essi vivano il contatto o lo scontro dei diversi codici che costituiscono il loro repertorio linguistico. Si prenderanno in esame, dunque, vere e proprie autobiografie linguistiche (Jhumpa Lahiri, In altre parole, 2016; Adrian N. Bravi, La gelosia delle lingue, 2017) o le frequenti notazioni e riflessioni sparse in opere narrative (Igiaba Scego, Oltre Babilonia, 2008 ; Ead, a cura di, Future. Il domani narrato dalle voci di oggi, 2019; Ornela Vorpsi, Il paese dove non si muore mai, 2005) per indagare come l’italiano possa essere percepito da parlanti di origine straniera che hanno scelto di vivere in Italia per un tempo più o meno lungo e di esplorarne la cultura. Queste esperienze, che rappresentano ad ora una delle ultime tracce della multiforme e secolare questione della lingua italiana, possono avere anche un grande valore in chiave didattico per i discenti di italiano L2/Ls o per la riflessione e la preparazione dei docenti. L’autobiografia linguistica rappresenta infatti un valido strumento nella didattica dell’italiano L2/LS, e nella glottodidattica in genere, perché consente al docente di acquisire conoscenze sulle esperienze linguistiche dei propri allievi e sulle loro strategie di apprendimento, progettando un percorso didattico che sia più specifico e orientato sui reali bisogni comunicativi della classe. Anche per il discente la pratica dell’autobiografia è una risorsa importante, perché dà stimoli e strumenti per una riflessione sul proprio repertorio linguistico, sulle idee e percezioni che più o meno esplicitamente si legano alle diverse lingue, sulle proprie motivazioni all’apprendimento (Favaro 2008; Groppaldi 2010).
Lingue fluviali, ospitali, gelose, nemiche. La plasticità dei repertori linguistici nelle parole degli scrittori migranti.
Daria Motta
2022-01-01
Abstract
Il fenomeno delle migrazioni oggi è tanto ampio nel mondo e talmente profonde ne sono le conseguenze che alcuni studiosi hanno proposto di definire l’epoca in cui viviamo come l’“era di migrazioni”. Ora anche l’Italia fa parte a pieno titolo di questo scenario internazionale, nel ruolo in parte convergente e in parte antitetico di patria d’origine e terra d’accoglienza per milioni di persone. Ciò ha portato a un nuovo “sincretismo italofono” (Reichardt-Moll) e alla necessità di una nuova ottica, transculturale, con cui guardare alle frontiere del nostro paese, oramai fluide sia in senso geografico sia identitario. Negli ultimi tre decenni, poi, l’Italia ha visto crescere il numero di autori di origine straniera che hanno scritto le proprie opere in italiano, prima a quattro mani con giornalisti o scrittori italiani e poi autonomamente (Gnisci, Mengozzi, Cartago). Si tratta di scrittori immigrati di prima o seconda generazione, la cui provenienza è eterogenea come lo è il profilo delle comunità alloglotte in Italia, e le cui opere in molti casi sono di estremo interesse non solo per un’analisi del loro tessuto linguistico e dei diversi apporti che da esse possono giungere alla lingua italiana, ma anche per i numerosissimi aspetti metalinguistici, di varia natura, contenuti nei testi. Scrivere in una lingua seconda, infatti, può conferire un’ottica straniante che consente di guardare da nuove prospettive sia la lingua di provenienza che quella di arrivo. La nuova lingua, in particolare, è continuamente sperimentata con curiosità e interesse, ma può anche essere vista come una lingua ostile, che copre e assimila a sè le sonorità, le strutture e le idee della lingua materna. Dai testi di autori di origine non italiana è possibile ricavare dunque moltissime osservazioni metalinguistiche che documentano come essi siano arrivati ad acquisire l’italiano come L2 o come nella loro pratica quotidiana essi vivano il contatto o lo scontro dei diversi codici che costituiscono il loro repertorio linguistico. Si prenderanno in esame, dunque, vere e proprie autobiografie linguistiche (Jhumpa Lahiri, In altre parole, 2016; Adrian N. Bravi, La gelosia delle lingue, 2017) o le frequenti notazioni e riflessioni sparse in opere narrative (Igiaba Scego, Oltre Babilonia, 2008 ; Ead, a cura di, Future. Il domani narrato dalle voci di oggi, 2019; Ornela Vorpsi, Il paese dove non si muore mai, 2005) per indagare come l’italiano possa essere percepito da parlanti di origine straniera che hanno scelto di vivere in Italia per un tempo più o meno lungo e di esplorarne la cultura. Queste esperienze, che rappresentano ad ora una delle ultime tracce della multiforme e secolare questione della lingua italiana, possono avere anche un grande valore in chiave didattico per i discenti di italiano L2/Ls o per la riflessione e la preparazione dei docenti. L’autobiografia linguistica rappresenta infatti un valido strumento nella didattica dell’italiano L2/LS, e nella glottodidattica in genere, perché consente al docente di acquisire conoscenze sulle esperienze linguistiche dei propri allievi e sulle loro strategie di apprendimento, progettando un percorso didattico che sia più specifico e orientato sui reali bisogni comunicativi della classe. Anche per il discente la pratica dell’autobiografia è una risorsa importante, perché dà stimoli e strumenti per una riflessione sul proprio repertorio linguistico, sulle idee e percezioni che più o meno esplicitamente si legano alle diverse lingue, sulle proprie motivazioni all’apprendimento (Favaro 2008; Groppaldi 2010).File | Dimensione | Formato | |
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