Nell’immediato dopoguerra, nell’ambito di un generale ripensamento delle categorie culturali, sociali e politiche dettato da contingenze storiche, la rivista «Il Politecnico», diretta da Elio Vittorini tra il 1945 e il 1947, offre un ritratto eterogeneo di un’Italia da ricostruire nella misura in cui tenta di proporre soluzioni alternative, antidoti alle contraddizioni forzatamente sopite dal regime ed emerse in quegli anni con veemente problematicità. Il discorso cinematografico rientra nell’ingranaggio verbo-visivo del periodico e, rimanendo sospeso tra viva testimonianza e critica militante, ne riflette il progetto di fondo. I fascicoli del «Politecnico» che includono approfondimenti o vere e proprie rubriche cinematografiche si prestano ad essere raggruppati almeno in due tipologie di esempi: alla riflessione sullo stato dell’arte e sulla necessità di un’apertura al cinema straniero, si affiancano recensioni di film spesso condotte attraverso l’uso combinato di didascalie e gruppi di fotogrammi. Tra ponderate grida d’allarme (si legge nel n. 16 «sarebbe compito e dovere precipuo della critica di guidarlo e di educarlo [il pubblico]. Ma oggi si ha ancora l’impressione che la critica non intenda abbandonare una linea di condotta sostanzialmente quietistica»), scorrono così le firme di Carlo Lizzani, di Corrado Terzi, di Vittorini stesso, e si osservano frame epocali (tratti da film come La corazzata Potëmkin, Sperduti nel buio, La passione di Giovanna d’Arco di Dreyer), proposti al pubblico dei lettori insieme al supporto delle sezioni verbali. Seguendo i trentanove numeri del «Politecnico», il contributo intende offrire una panoramica delle declinazioni che la critica cinematografica assume in una rivista certamente non settoriale, ma attenta agli snodi e ai germi di cambiamento che a metà degli anni Quaranta si attagliano anche al cinema.
«Il Politecnico». Tra critica cinematografica e divulgazione
Corinne Pontillo
2019-01-01
Abstract
Nell’immediato dopoguerra, nell’ambito di un generale ripensamento delle categorie culturali, sociali e politiche dettato da contingenze storiche, la rivista «Il Politecnico», diretta da Elio Vittorini tra il 1945 e il 1947, offre un ritratto eterogeneo di un’Italia da ricostruire nella misura in cui tenta di proporre soluzioni alternative, antidoti alle contraddizioni forzatamente sopite dal regime ed emerse in quegli anni con veemente problematicità. Il discorso cinematografico rientra nell’ingranaggio verbo-visivo del periodico e, rimanendo sospeso tra viva testimonianza e critica militante, ne riflette il progetto di fondo. I fascicoli del «Politecnico» che includono approfondimenti o vere e proprie rubriche cinematografiche si prestano ad essere raggruppati almeno in due tipologie di esempi: alla riflessione sullo stato dell’arte e sulla necessità di un’apertura al cinema straniero, si affiancano recensioni di film spesso condotte attraverso l’uso combinato di didascalie e gruppi di fotogrammi. Tra ponderate grida d’allarme (si legge nel n. 16 «sarebbe compito e dovere precipuo della critica di guidarlo e di educarlo [il pubblico]. Ma oggi si ha ancora l’impressione che la critica non intenda abbandonare una linea di condotta sostanzialmente quietistica»), scorrono così le firme di Carlo Lizzani, di Corrado Terzi, di Vittorini stesso, e si osservano frame epocali (tratti da film come La corazzata Potëmkin, Sperduti nel buio, La passione di Giovanna d’Arco di Dreyer), proposti al pubblico dei lettori insieme al supporto delle sezioni verbali. Seguendo i trentanove numeri del «Politecnico», il contributo intende offrire una panoramica delle declinazioni che la critica cinematografica assume in una rivista certamente non settoriale, ma attenta agli snodi e ai germi di cambiamento che a metà degli anni Quaranta si attagliano anche al cinema.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.