Lo studio parte dal presupposto che la cecità non debba essere considerata una malattia, quanto piuttosto una condizione di disabilità, di appartenenza a una dimensione altra. L’immagine di José Saramago di un mondo pieno di ciechi per cui la cecità diventa una condizione di contagio universale, quella del Vangelo sul cieco nato, quella proposta da Denis Diderot che si interroga sul sistema di valori del mondo dei ciechi servono all’autore per intessere una fitta rete di rimandi intertestuali che da una prospettiva di forte aspirazione comparatistica scenda a investigare alcuni casi esemplari nella letteratura italiana. Manganaro evidenzia come la nostra tradizione letteraria si serva dell’immagine soprattutto come traslato, prendendone il valore figurato più che quello letterale. Ai molti scrittori che indagano il trauma della perdita della vista lo studioso accosta anche le rappresentazioni comiche, cogliendone anche i risvolti caricaturali e farseschi. E rileva come sia rara nell’umanità, e nella letteratura, la capacità di superare l’indifferenza e allo stesso tempo di comprendere l’opposizione distintiva, enunciata in modo impareggiabile, e con umanissimo rispetto, da Dante: «A me pareva, andando, fare oltraggio, / veggendo altrui, non essendo veduto»
"Quelli che camminano nella notte”. Note sulla rappresentazione della cecità nella letteratura italiana
Manganaro Andrea
2023-01-01
Abstract
Lo studio parte dal presupposto che la cecità non debba essere considerata una malattia, quanto piuttosto una condizione di disabilità, di appartenenza a una dimensione altra. L’immagine di José Saramago di un mondo pieno di ciechi per cui la cecità diventa una condizione di contagio universale, quella del Vangelo sul cieco nato, quella proposta da Denis Diderot che si interroga sul sistema di valori del mondo dei ciechi servono all’autore per intessere una fitta rete di rimandi intertestuali che da una prospettiva di forte aspirazione comparatistica scenda a investigare alcuni casi esemplari nella letteratura italiana. Manganaro evidenzia come la nostra tradizione letteraria si serva dell’immagine soprattutto come traslato, prendendone il valore figurato più che quello letterale. Ai molti scrittori che indagano il trauma della perdita della vista lo studioso accosta anche le rappresentazioni comiche, cogliendone anche i risvolti caricaturali e farseschi. E rileva come sia rara nell’umanità, e nella letteratura, la capacità di superare l’indifferenza e allo stesso tempo di comprendere l’opposizione distintiva, enunciata in modo impareggiabile, e con umanissimo rispetto, da Dante: «A me pareva, andando, fare oltraggio, / veggendo altrui, non essendo veduto»I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.