Il carteggio di Marco Tullio Cicerone con Marco Celio Rufo – otto lettere distribuite nel corso dell’anno in cui, a partire dalla metà del 51 a.C., venne affidata all’oratore la promagistratura della vastissima provincia di Cilicia – documenta l’esistenza di pantere in numerose regioni storiche dell’Anatolia (Cilicia, Licaonia, Pisidia, Panfilia, Frigia). Celio, in vista della propria candidatura all’edilità per l’anno 50, aveva richiesto insistentemente all’amico governatore l’invio di pantere per l’allestimento di spettacolari venationes in occasione della propria campagna elettorale. Tale presenza non solo risulta confermata da altre fonti antiche (Aristotele, Filostrato, Claudio Eliano, Historia Augusta), ma è anche attestata con continuità fino all’epoca attuale: il leopardo dell’Asia Minore costituisce oggi una delle cinque sottospecie rare di leopardo, giunta ormai alle soglie dell’estinzione a causa della caccia sportiva, tanto che non sembra possibile parlare di una vera e propria “popolazione” bensì di singoli individui. Oltre all’ostentazione da parte dei notabili e alla propaganda del potere imperiale, per cui il principe generoso gratificava il suo popolo, le venationes rivestivano un valore altamente simbolico, poiché con queste autentiche stragi il dominio di Roma non comportò unicamente una sottomissione ideologica, ma anche una “bonifica” ambientale attraverso l’eliminazione sistematica delle bestie selvatiche. Cicerone, per non incorrere nell’accusa di compiere favoritismi abusando del potere derivato dalla carica ricoperta, tentò di sottrarsi alle pressanti richieste di Celio. È tuttavia possibile che, nell’integerrimo governatore – che potremmo definire un “ecologista” politically correct – esistesse un piccolo spazio se non per la pietà quanto meno per il fastidio nei riguardi di spettacoli come le venationes.

Cicerone e il leopardo anatolico: alle origini del rischio d’estinzione di una specie

Gaetano Arena
2023-01-01

Abstract

Il carteggio di Marco Tullio Cicerone con Marco Celio Rufo – otto lettere distribuite nel corso dell’anno in cui, a partire dalla metà del 51 a.C., venne affidata all’oratore la promagistratura della vastissima provincia di Cilicia – documenta l’esistenza di pantere in numerose regioni storiche dell’Anatolia (Cilicia, Licaonia, Pisidia, Panfilia, Frigia). Celio, in vista della propria candidatura all’edilità per l’anno 50, aveva richiesto insistentemente all’amico governatore l’invio di pantere per l’allestimento di spettacolari venationes in occasione della propria campagna elettorale. Tale presenza non solo risulta confermata da altre fonti antiche (Aristotele, Filostrato, Claudio Eliano, Historia Augusta), ma è anche attestata con continuità fino all’epoca attuale: il leopardo dell’Asia Minore costituisce oggi una delle cinque sottospecie rare di leopardo, giunta ormai alle soglie dell’estinzione a causa della caccia sportiva, tanto che non sembra possibile parlare di una vera e propria “popolazione” bensì di singoli individui. Oltre all’ostentazione da parte dei notabili e alla propaganda del potere imperiale, per cui il principe generoso gratificava il suo popolo, le venationes rivestivano un valore altamente simbolico, poiché con queste autentiche stragi il dominio di Roma non comportò unicamente una sottomissione ideologica, ma anche una “bonifica” ambientale attraverso l’eliminazione sistematica delle bestie selvatiche. Cicerone, per non incorrere nell’accusa di compiere favoritismi abusando del potere derivato dalla carica ricoperta, tentò di sottrarsi alle pressanti richieste di Celio. È tuttavia possibile che, nell’integerrimo governatore – che potremmo definire un “ecologista” politically correct – esistesse un piccolo spazio se non per la pietà quanto meno per il fastidio nei riguardi di spettacoli come le venationes.
2023
978-2-35613-559-9
ambiente, Roma repubblicana, venationes, società, Asia Minore
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.11769/549748
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