A partire dai primi anni del Trecento la costruzione di edifici ecclesiastici nel Lazio meridionale, terra al confine tra lo Stato della Chiesa e il Regno di Napoli, conobbe una battuta d’arresto dopo il fervore della stagione duecentesca. Recependo modelli architettonici di provenienza transalpina, la ricostruzione delle abbazie cistercensi di Fossanova e di Casamari, consacrate rispettivamente nel 1208 e nel 1217, aveva stimolato l’erezione di nuove fabbriche e il rifacimento di antichi luoghi di culto, superando i modi ‘antiquari’ di una tradizione paleocristiana ancora dominante a Roma e nel Lazio. Se da un lato l’apertura di ulteriori cantieri non era più necessaria all’alba del nuovo secolo, dall’altro la difficile situazione storica, politica ed economica della città di Roma si riverberò nei centri urbani circonvicini. Ai fasti del Giubileo del 1300, infatti, corrispose una politica del papato di Bonifacio VIII in forte contrasto con le potenti famiglie romane, in particolare i Colonna, e nei confronti del sorgente nazionalismo francese. Il successivo trasferimento della corte pontificia ad Avignone (1309-1377) privò l’Urbe dei principali committenti di opere d’arte – il papa e i cardinali – rendendo inevitabile la diaspora di molti artisti e architetti. Al contrario, la realtà del Regno angioino di Napoli era ben più florida e il mecenatismo di Carlo II prima, di Roberto d’Angiò poi, particolarmente vivace. Nonostante la precarietà del contesto, un’accurata ricognizione nei territori a sud di Roma ha permesso di registrare un certo fermento edilizio relativo soprattutto alla trasformazione di edifici preesistenti. Pur non legata a cantieri di grande prestigio, la nuova configurazione delle navate presenta caratteri linguistici ricorrenti e definisce un modello architettonico le cui origini possono ricondursi all’architettura regionale di fine Duecento.
L’architettura ecclesiastica di primo Trecento al confine del Regnum angioino. La configurazione delle navate tra pauperismo e ricerca di una nuova estetica
Emanuele Gallotta
2022-01-01
Abstract
A partire dai primi anni del Trecento la costruzione di edifici ecclesiastici nel Lazio meridionale, terra al confine tra lo Stato della Chiesa e il Regno di Napoli, conobbe una battuta d’arresto dopo il fervore della stagione duecentesca. Recependo modelli architettonici di provenienza transalpina, la ricostruzione delle abbazie cistercensi di Fossanova e di Casamari, consacrate rispettivamente nel 1208 e nel 1217, aveva stimolato l’erezione di nuove fabbriche e il rifacimento di antichi luoghi di culto, superando i modi ‘antiquari’ di una tradizione paleocristiana ancora dominante a Roma e nel Lazio. Se da un lato l’apertura di ulteriori cantieri non era più necessaria all’alba del nuovo secolo, dall’altro la difficile situazione storica, politica ed economica della città di Roma si riverberò nei centri urbani circonvicini. Ai fasti del Giubileo del 1300, infatti, corrispose una politica del papato di Bonifacio VIII in forte contrasto con le potenti famiglie romane, in particolare i Colonna, e nei confronti del sorgente nazionalismo francese. Il successivo trasferimento della corte pontificia ad Avignone (1309-1377) privò l’Urbe dei principali committenti di opere d’arte – il papa e i cardinali – rendendo inevitabile la diaspora di molti artisti e architetti. Al contrario, la realtà del Regno angioino di Napoli era ben più florida e il mecenatismo di Carlo II prima, di Roberto d’Angiò poi, particolarmente vivace. Nonostante la precarietà del contesto, un’accurata ricognizione nei territori a sud di Roma ha permesso di registrare un certo fermento edilizio relativo soprattutto alla trasformazione di edifici preesistenti. Pur non legata a cantieri di grande prestigio, la nuova configurazione delle navate presenta caratteri linguistici ricorrenti e definisce un modello architettonico le cui origini possono ricondursi all’architettura regionale di fine Duecento.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.