Lo scritto prende le mosse dal caso della città di Catania per affrontare la proposta – al centro da tempo di un vivace dibattito in Italia – di abolizione dell’ente Provincia nel quadro del più generale riassetto della filiera istituzionale che va dallo stato alle Circoscrizioni comunali, passando per le Regioni, le Province e i Comuni, intramezzata da una pluralità di soggetti cosiddetti “misti” (in termini più formali che sostanziali) che vanno dalle società di capitali a vari tipi di organizzazioni per lo sviluppo territoriale. Dopo la ricostruzione delle linee essenziali delle riforme succedutesi tra il 1990 (legge 142) e 2009 (legge costituzionale 42 sul cosiddetto federalismo fiscale) e delle proposte, rimaste però senza esito, destinate alla redazione della «Carta delle Autonomie locali», il saggio prende le mosse dalla necessità di superare l’uso eccessivamente genericità del concetto di area metropolitana in base alla decisiva distinzione tra territorio «prossimo» e territorio «vasto». In entrambi i casi il denominatore comune è rappresentato dal carattere integrato di caratteristiche terri¬toriali e del sistema di attività economiche, di servizi e di relazioni culturali. Alle diverse “scale” corrispondono però differenti soluzioni istituzionali: l’ente intermedio tra Regione e Comune, nel primo caso; la città metropolitana, nel secondo. Approfondisce poi i due modelli sottolineando sia il grave ritardo del legislatore siciliano, nonostante l’ampia autonomia della quale gode la Sicilia in questa materia, sia la natura strumentale e auto-referenziale di molta parte delle posizioni del recente dibattito politico, suggerendo anche l’idea di un assetto a geometria istituzionale variabile che tenga conto delle specificità dei territori come entità non solo geo-amministrative bensì anche geo-politiche e culturali, oltre che sociali ed economiche. In particolare, relativamente al territorio «vasto», all’inconcludente dibattito tra detrattori e fautori dell’ente Provincia va opposta una riflessione su un assetto istituzionale fondato su un sistema di Comuni “forti” sul piano amministrativo e gestionale, il cui governo del territorio sia adeguatamente sostenuto da enti sovra-comunali, intermedi rispetto alla Regione, ma “leggeri” sul piano burocratico e del personale, con compiti di indirizzo e programmazione. Relativamente, invece, al territorio «prossimo» occorre il coraggio di istituire quelle città metropolitane previste in altri contesti europei e più volte proposte in Italia che si configurano come occasioni indispensabili di modernizzazione e razionalizzazione di un’architettura ancora troppo dominata da frantumazioni e sovrapposizioni di funzioni di indi¬rizzo e programmazione e funzioni di gestione, superando quella visione istituzionale rigidamente diadica di una «arena istituzionale» dominata dalla competizione tra Co¬muni e Provincia (una sorta di gioco a somma zero), con l’ente Regione interessato spettatore. Senza, però, riproporre caratteri di rigidità tale da costituire una nuova «gabbia» entro cui ingessare ancora una volta l’ordinamento degli enti locali. Fermo rimane infatti l’obiettivo di recuperare il policentrismo territoriale e il pluralismo identitario nel quadro di politiche integrate per lo sviluppo locale.

RIPENSARE L'ARCHITETTURA ISTITUZIONALE: E

D'AMICO, Renato
2010-01-01

Abstract

Lo scritto prende le mosse dal caso della città di Catania per affrontare la proposta – al centro da tempo di un vivace dibattito in Italia – di abolizione dell’ente Provincia nel quadro del più generale riassetto della filiera istituzionale che va dallo stato alle Circoscrizioni comunali, passando per le Regioni, le Province e i Comuni, intramezzata da una pluralità di soggetti cosiddetti “misti” (in termini più formali che sostanziali) che vanno dalle società di capitali a vari tipi di organizzazioni per lo sviluppo territoriale. Dopo la ricostruzione delle linee essenziali delle riforme succedutesi tra il 1990 (legge 142) e 2009 (legge costituzionale 42 sul cosiddetto federalismo fiscale) e delle proposte, rimaste però senza esito, destinate alla redazione della «Carta delle Autonomie locali», il saggio prende le mosse dalla necessità di superare l’uso eccessivamente genericità del concetto di area metropolitana in base alla decisiva distinzione tra territorio «prossimo» e territorio «vasto». In entrambi i casi il denominatore comune è rappresentato dal carattere integrato di caratteristiche terri¬toriali e del sistema di attività economiche, di servizi e di relazioni culturali. Alle diverse “scale” corrispondono però differenti soluzioni istituzionali: l’ente intermedio tra Regione e Comune, nel primo caso; la città metropolitana, nel secondo. Approfondisce poi i due modelli sottolineando sia il grave ritardo del legislatore siciliano, nonostante l’ampia autonomia della quale gode la Sicilia in questa materia, sia la natura strumentale e auto-referenziale di molta parte delle posizioni del recente dibattito politico, suggerendo anche l’idea di un assetto a geometria istituzionale variabile che tenga conto delle specificità dei territori come entità non solo geo-amministrative bensì anche geo-politiche e culturali, oltre che sociali ed economiche. In particolare, relativamente al territorio «vasto», all’inconcludente dibattito tra detrattori e fautori dell’ente Provincia va opposta una riflessione su un assetto istituzionale fondato su un sistema di Comuni “forti” sul piano amministrativo e gestionale, il cui governo del territorio sia adeguatamente sostenuto da enti sovra-comunali, intermedi rispetto alla Regione, ma “leggeri” sul piano burocratico e del personale, con compiti di indirizzo e programmazione. Relativamente, invece, al territorio «prossimo» occorre il coraggio di istituire quelle città metropolitane previste in altri contesti europei e più volte proposte in Italia che si configurano come occasioni indispensabili di modernizzazione e razionalizzazione di un’architettura ancora troppo dominata da frantumazioni e sovrapposizioni di funzioni di indi¬rizzo e programmazione e funzioni di gestione, superando quella visione istituzionale rigidamente diadica di una «arena istituzionale» dominata dalla competizione tra Co¬muni e Provincia (una sorta di gioco a somma zero), con l’ente Regione interessato spettatore. Senza, però, riproporre caratteri di rigidità tale da costituire una nuova «gabbia» entro cui ingessare ancora una volta l’ordinamento degli enti locali. Fermo rimane infatti l’obiettivo di recuperare il policentrismo territoriale e il pluralismo identitario nel quadro di politiche integrate per lo sviluppo locale.
2010
978-88-7864-065-8
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.11769/57007
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