La contiguità con gli ambienti della scapigliatura democratica, la militanza condotta attraverso una ricca pubblicistica attestata da svariate collaborazioni, l’impegno sociale che lo collocò tra le forze intellettuali più avanzate e moderne della Nuova Italia, risultano decisivi nella comprensione della breve parabola artistica del palermitano Enrico Onufrio. Osservatore smaliziato e accorto della confusa vicenda italiana post-unitaria, interprete inquieto della realtà siciliana, si sarebbe avviato precocemente verso quel radicalismo caratteristico di gran parte della nostra letteratura di fine Ottocento, e di cui è emblematica manifestazione una byroniana partecipazione in camicia garibaldina, ma come corrispondente di guerra, alla sfortunata rivolta greca del 1878, contro i turchi in Erzegovina. Il suo unico romanzo, L’ultimo borghese, narra la vicenda del giovane Luciano Rambaldi, annoiato e disincantato, pavido e insincero, intento a divorare sé stesso tra tor¬mentate visioni che gli prestano alternati¬vamente coraggio e paura. Il suo processo di autodistruzione lo condurrà, nell’Italia del 1866, verso un’incolore carriera parlamentare che culminerà in un epilogo sufficiente a redimere una vita segnata dalla rinuncia e dalla malattia del carattere: morirà, infatti, pronunciando alla Camera l’unico coraggioso discorso della sua vita, dettato dall’esigen¬za, niente affatto velleitaria, di do¬cumentare la vocazione trasformistica e clientelare del sistema politico e con essa il fallimento della funzione storica della borghesia post-risorgimentale. Nel nutrito filone del romanzo parlamentare, non è difficile ravvisare, nel disagio e nel dissenso del personaggio di Rambaldi, la premessa ideologica del disincanto che esploderà, con ben altre figurazioni nichilistiche e apocalittiche, nel postumo Imperio di Federico De Roberto. Pur nella sovrapposizione dei più svariati registri espressivi - quelli dell’epopea risorgimentale, della narrativa tardo-romantica e scapigliata, della mondanità bourgettiana, del dannunzianesimo erotico ed estetizzante, del feuilleton e dell’esistenzialismo pre-deca¬dente - Onufrio conserva una sua cifra originale quando si mostra agguerrito alfiere di utopie e istanze smarrite, ma con una più netta cifra “democratica”, rispetto alle disillusioni che adombreranno scrittori come Girolamo Rovetta o De Roberto. Egli suggellerà la sua breve esistenza con un romanzo che è sintesi tanto dei contrapposti affanni del suo autore quanto del destino del personaggio borghese, destinato a conoscere ben altri sviluppi, almeno fino al Rubè di Giuseppe Antonio Borgese.
L'ultimo borghese: epos risorgimentale e radicalismo dell'antipolitico Enrico Onufrio
Rosario Castelli
2023-01-01
Abstract
La contiguità con gli ambienti della scapigliatura democratica, la militanza condotta attraverso una ricca pubblicistica attestata da svariate collaborazioni, l’impegno sociale che lo collocò tra le forze intellettuali più avanzate e moderne della Nuova Italia, risultano decisivi nella comprensione della breve parabola artistica del palermitano Enrico Onufrio. Osservatore smaliziato e accorto della confusa vicenda italiana post-unitaria, interprete inquieto della realtà siciliana, si sarebbe avviato precocemente verso quel radicalismo caratteristico di gran parte della nostra letteratura di fine Ottocento, e di cui è emblematica manifestazione una byroniana partecipazione in camicia garibaldina, ma come corrispondente di guerra, alla sfortunata rivolta greca del 1878, contro i turchi in Erzegovina. Il suo unico romanzo, L’ultimo borghese, narra la vicenda del giovane Luciano Rambaldi, annoiato e disincantato, pavido e insincero, intento a divorare sé stesso tra tor¬mentate visioni che gli prestano alternati¬vamente coraggio e paura. Il suo processo di autodistruzione lo condurrà, nell’Italia del 1866, verso un’incolore carriera parlamentare che culminerà in un epilogo sufficiente a redimere una vita segnata dalla rinuncia e dalla malattia del carattere: morirà, infatti, pronunciando alla Camera l’unico coraggioso discorso della sua vita, dettato dall’esigen¬za, niente affatto velleitaria, di do¬cumentare la vocazione trasformistica e clientelare del sistema politico e con essa il fallimento della funzione storica della borghesia post-risorgimentale. Nel nutrito filone del romanzo parlamentare, non è difficile ravvisare, nel disagio e nel dissenso del personaggio di Rambaldi, la premessa ideologica del disincanto che esploderà, con ben altre figurazioni nichilistiche e apocalittiche, nel postumo Imperio di Federico De Roberto. Pur nella sovrapposizione dei più svariati registri espressivi - quelli dell’epopea risorgimentale, della narrativa tardo-romantica e scapigliata, della mondanità bourgettiana, del dannunzianesimo erotico ed estetizzante, del feuilleton e dell’esistenzialismo pre-deca¬dente - Onufrio conserva una sua cifra originale quando si mostra agguerrito alfiere di utopie e istanze smarrite, ma con una più netta cifra “democratica”, rispetto alle disillusioni che adombreranno scrittori come Girolamo Rovetta o De Roberto. Egli suggellerà la sua breve esistenza con un romanzo che è sintesi tanto dei contrapposti affanni del suo autore quanto del destino del personaggio borghese, destinato a conoscere ben altri sviluppi, almeno fino al Rubè di Giuseppe Antonio Borgese.| File | Dimensione | Formato | |
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