Questo studio è diretto all’indagine del tema della percezione nei Cinque sensi di Italo Calvino e segnatamente sul Re in ascolto. Il discorso dei sensi è un discorso sull’abitare il mondo, ma i sensi restringono lo spazio come nelle mura di una prigione (Nietzsche). I sensi sono ibridati, in una sorta di sinestesia generale, organizzata però sotto il dominio dell’udito. L’ascolto è infatti, nella mutilazione dei suoi poteri percettivi, l’unico senso del prigioniero. Da esso il prigioniero trae la costruzione percettiva-immaginativa dello spazio: la rassicurazione del familiare-abituale, l’individuazione degli indizi ostili-perturbanti. Analogamente il prigioniero trae dall’ascolto una costruzione percettiva-immaginativa del tempo. Calvino trova nella lezione di Barthes che l’ascolto implica un’ermeneutica e magari una mantica. Ora, il non sentirsi a casa, la privazione dello spazio rassicurante dell’abitare, l’esposizione al pericolo, l’attesa, cioè la situazione dell’assedio di forze minaccianti, è la condizione del re-prigioniero. Il quale vedrà la propria esistenza connotata dalla necessità del riconoscimento privilegiatamente uditivo del mondo esterno inabitabile (come è olfattivo per gli animali, o tattile per la cimice che riconosce la temperatura dell’animale parassitabile, ecc.). Nello stesso tempo il prigioniero si dispone all’ascolto del mondo interno della coscienza e della colpa. Ma la prigione, in quanto luogo dell’ascolto dell’inconscio (sopra/sotto) e sede della finestra sull’esterno (dentro/fuori) è anche la stanza dello scrittore.

Nello spazio dei suoni, un prigioniero in ascolto

SCHILIRO', MASSIMO
2009-01-01

Abstract

Questo studio è diretto all’indagine del tema della percezione nei Cinque sensi di Italo Calvino e segnatamente sul Re in ascolto. Il discorso dei sensi è un discorso sull’abitare il mondo, ma i sensi restringono lo spazio come nelle mura di una prigione (Nietzsche). I sensi sono ibridati, in una sorta di sinestesia generale, organizzata però sotto il dominio dell’udito. L’ascolto è infatti, nella mutilazione dei suoi poteri percettivi, l’unico senso del prigioniero. Da esso il prigioniero trae la costruzione percettiva-immaginativa dello spazio: la rassicurazione del familiare-abituale, l’individuazione degli indizi ostili-perturbanti. Analogamente il prigioniero trae dall’ascolto una costruzione percettiva-immaginativa del tempo. Calvino trova nella lezione di Barthes che l’ascolto implica un’ermeneutica e magari una mantica. Ora, il non sentirsi a casa, la privazione dello spazio rassicurante dell’abitare, l’esposizione al pericolo, l’attesa, cioè la situazione dell’assedio di forze minaccianti, è la condizione del re-prigioniero. Il quale vedrà la propria esistenza connotata dalla necessità del riconoscimento privilegiatamente uditivo del mondo esterno inabitabile (come è olfattivo per gli animali, o tattile per la cimice che riconosce la temperatura dell’animale parassitabile, ecc.). Nello stesso tempo il prigioniero si dispone all’ascolto del mondo interno della coscienza e della colpa. Ma la prigione, in quanto luogo dell’ascolto dell’inconscio (sopra/sotto) e sede della finestra sull’esterno (dentro/fuori) è anche la stanza dello scrittore.
2009
88-7796-544-4
Calvino; percezione; spazio
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