Nell’ambito della storia dei rapporti tra centro e periferia durante l’Italia liberale, il momento storico situato tra il voto amministrativo dell’autunno 1920 e il voto politico del maggio 1921 è un frangente estremamente significativo. Nel giudicare la profondità della crisi che porta alla dissoluzione l’intero Stato liberale, è proficuo analizzare le ipotesi di periodizzazione, l’intervento del ministero e degli apparati statali periferici (scioglimento dei consigli comunali e uso dei prefetti) e infine i risultati elettorali, anche attraverso il confronto tra il voto amministrativo e quello politico. Non fu il dato elettorale in sé a segnalare una situazione di sfacelo delle forze liberali o dei partiti di massa. Oltre alle violenze fasciste, l’impasse si riprodusse nella logica parlamentare, dove la frantumazione e i veti incrociati impedirono una coalizione compatta di forze costituzionali o tra i partiti di massa. Le elezioni del 1921 furono un tornante periodizzante perché dimostrarono che la “restaurazione” del controllo politico della classe liberale, tramite l’esclusione delle forze di opposizione, in particolare dei socialisti su posizioni massimaliste, non poteva più realizzarsi tramite il tradizionale versante dei rapporti tra Stato e amministrazioni locali e il voto politico. Ne derivò la diffusa consapevolezza che l’ombrello protettivo prefettizio non funzionasse più come in passato e la convinzione che il recupero del controllo politico degli enti locali sarebbe dovuto avvenire attraverso un’azione repressiva o violenta, come avrebbe dimostrato di lì a breve l’escalation ulteriore dello squadrismo e degli scioglimenti dei consigli comunali.
Il biennio elettorale 1920-1921 nella dialettica tra centro e periferia
SCHININA
2024-01-01
Abstract
Nell’ambito della storia dei rapporti tra centro e periferia durante l’Italia liberale, il momento storico situato tra il voto amministrativo dell’autunno 1920 e il voto politico del maggio 1921 è un frangente estremamente significativo. Nel giudicare la profondità della crisi che porta alla dissoluzione l’intero Stato liberale, è proficuo analizzare le ipotesi di periodizzazione, l’intervento del ministero e degli apparati statali periferici (scioglimento dei consigli comunali e uso dei prefetti) e infine i risultati elettorali, anche attraverso il confronto tra il voto amministrativo e quello politico. Non fu il dato elettorale in sé a segnalare una situazione di sfacelo delle forze liberali o dei partiti di massa. Oltre alle violenze fasciste, l’impasse si riprodusse nella logica parlamentare, dove la frantumazione e i veti incrociati impedirono una coalizione compatta di forze costituzionali o tra i partiti di massa. Le elezioni del 1921 furono un tornante periodizzante perché dimostrarono che la “restaurazione” del controllo politico della classe liberale, tramite l’esclusione delle forze di opposizione, in particolare dei socialisti su posizioni massimaliste, non poteva più realizzarsi tramite il tradizionale versante dei rapporti tra Stato e amministrazioni locali e il voto politico. Ne derivò la diffusa consapevolezza che l’ombrello protettivo prefettizio non funzionasse più come in passato e la convinzione che il recupero del controllo politico degli enti locali sarebbe dovuto avvenire attraverso un’azione repressiva o violenta, come avrebbe dimostrato di lì a breve l’escalation ulteriore dello squadrismo e degli scioglimenti dei consigli comunali.File | Dimensione | Formato | |
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