Il saggio propone una riflessione sulla questione demaniale ; elemento centrale per una riconsiderazione circa il ruolo ricoperto dai contadini siciliani all’interno del processo di unificazione nazionale. La regolamentazione dei diritti promiscui, l’utilizzo delle terre comuni- insieme alla strenua difesa di grazie e concessioni ottenute dalla Corona- rappresentano alcune delle questioni controverse con le quali si confrontarono le Università isolane a partire almeno dal XVI secolo. Alla fine del Cinquecento, le esigenze finanziarie del regno spagnolo, se da un lato resero possibile- dietro versamenti di donativi- l’acquisizioni di nuovi privilegi, dall’altro comportarono il diffondersi delle licentiae populandi e delle vendite di giurisdizioni civili e criminali che smembrarono i territori delle città. La necessità di tutelare l’esercizio dei diritti civici divenne oggetto di riflessione da parte della cultura giuridica siciliana con a capo Mario Cutelli, autore di quel Codex legum sicularum pubblicato a Messina nel 1636, nel quale comparivano i principi ispiratori di una ideologia antifeudale, contrassegnata da una difesa dei diritti demaniali e promiscui. Dopo l’eversione della feudalità e durante la Restaurazione i progetti di riforma vennero ereditati dai Borboni che emanarono alcuni provvedimenti legislativi volti allo scopo di abolire gli usi civici e di distribuire parte delle terre ai contadini. Si aprirono a questo punto numerosissimi contenziosi per la determinazione dei compensi e dei criteri da adottare per le operazioni di quotizzazioni. Non vi è dubbio però che già in questa fase storica la “politicizzazione” dei contadini nella stragrande maggioranza dei casi analfabeti passo attraverso la mobilitizzazione e le lotte demaniali. In conclusione l’esito fallimentare delle quotizzazioni ottocentesche indussero molti contadini ad abbandonare le terre assegnate loro a causa dell’esiguità delle risorse finanziarie disponibili per coltivarle. Alla fine dell’Ottocento così veniva rilanciata con forza la riflessione giuridico-politica sul mito “del frazionamento terriero” quale possibile strumento modernizzante del sistema agricolo isolano. Tra la compagine socialista infatti si ripropose l’ideale di una nuova proprietà collettiva che molto doveva alle antiche forme di sfruttamento terriero . In tal senso il richiamo al passato esprimeva un’ inusitata nostalgia con cui parte della sinistra guardava alle esperienze di uso collettivo della terra proprio dell’antico regime. Si configurava così un socialismo di vecchio stampo che alimentava la mitologia di un’età dell’oro caratterizzata da una società solidale e pacifica.

Le lotte contadine in Sicilia tra Ottocento e Novecento

CANCIULLO, Giovanna Maria
2006-01-01

Abstract

Il saggio propone una riflessione sulla questione demaniale ; elemento centrale per una riconsiderazione circa il ruolo ricoperto dai contadini siciliani all’interno del processo di unificazione nazionale. La regolamentazione dei diritti promiscui, l’utilizzo delle terre comuni- insieme alla strenua difesa di grazie e concessioni ottenute dalla Corona- rappresentano alcune delle questioni controverse con le quali si confrontarono le Università isolane a partire almeno dal XVI secolo. Alla fine del Cinquecento, le esigenze finanziarie del regno spagnolo, se da un lato resero possibile- dietro versamenti di donativi- l’acquisizioni di nuovi privilegi, dall’altro comportarono il diffondersi delle licentiae populandi e delle vendite di giurisdizioni civili e criminali che smembrarono i territori delle città. La necessità di tutelare l’esercizio dei diritti civici divenne oggetto di riflessione da parte della cultura giuridica siciliana con a capo Mario Cutelli, autore di quel Codex legum sicularum pubblicato a Messina nel 1636, nel quale comparivano i principi ispiratori di una ideologia antifeudale, contrassegnata da una difesa dei diritti demaniali e promiscui. Dopo l’eversione della feudalità e durante la Restaurazione i progetti di riforma vennero ereditati dai Borboni che emanarono alcuni provvedimenti legislativi volti allo scopo di abolire gli usi civici e di distribuire parte delle terre ai contadini. Si aprirono a questo punto numerosissimi contenziosi per la determinazione dei compensi e dei criteri da adottare per le operazioni di quotizzazioni. Non vi è dubbio però che già in questa fase storica la “politicizzazione” dei contadini nella stragrande maggioranza dei casi analfabeti passo attraverso la mobilitizzazione e le lotte demaniali. In conclusione l’esito fallimentare delle quotizzazioni ottocentesche indussero molti contadini ad abbandonare le terre assegnate loro a causa dell’esiguità delle risorse finanziarie disponibili per coltivarle. Alla fine dell’Ottocento così veniva rilanciata con forza la riflessione giuridico-politica sul mito “del frazionamento terriero” quale possibile strumento modernizzante del sistema agricolo isolano. Tra la compagine socialista infatti si ripropose l’ideale di una nuova proprietà collettiva che molto doveva alle antiche forme di sfruttamento terriero . In tal senso il richiamo al passato esprimeva un’ inusitata nostalgia con cui parte della sinistra guardava alle esperienze di uso collettivo della terra proprio dell’antico regime. Si configurava così un socialismo di vecchio stampo che alimentava la mitologia di un’età dell’oro caratterizzata da una società solidale e pacifica.
2006
88-7371-265-7
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