Una delle ragioni di costante fecondità dell’approccio fenomenologico al mondo è il suo porsi in gran parte al di là di alcune delle più consolidate contrapposizioni teoretiche che intramano il pensiero moderno. E questo mediante un andare alle cose stesse che significa in primo luogo accogliere il mondo come luogo e struttura che nello stesso tempo è e si manifesta, che accade nel suo manifestarsi e si manifesta perché c’è e non perché una qualche mente lo pensi. Se possiamo apprendere l’esistenza di un ente e i modi del suo esistere soltanto perché essi si manifestano a noi, questo non vuole dire che l’esistenza di quell’ente sia qualcosa di coscienziale e interiore, e assolutamente non vuol dire, non può voler dire pena l’irrazionalismo solipsistico, che quell’ente sia costruito dalla nostra coscienza, da essa prodotto, da noi dipendente. Che il mondo sia una mia rappresentazione può significare solo che io articolo le sue manifestazioni nei modi in cui la struttura del corpomente che sono permette di articolarli ma esso, il mondo e tutte le sue manifestazioni, sono interamente e sempre autonomi dall’esistenza mia, dell’umanità, di qualunque entità che elabora delle rappresentazioni. Afferma efficacemente Costa: «In ogni caso, l’esse non è il percipi»; con il linguaggio di Husserl si può dire che la sintesi operata dalla coscienza sui dati percettivi è sempre una sintesi passiva, che esperisce strutture oggettive e autonome dalla coscienza mentre alla coscienza si manifestano.
Margini del trascendentale. Questioni metafisiche nella fenomenologia di Husserl
Alberto Giovanni Biuso
2025-01-01
Abstract
Una delle ragioni di costante fecondità dell’approccio fenomenologico al mondo è il suo porsi in gran parte al di là di alcune delle più consolidate contrapposizioni teoretiche che intramano il pensiero moderno. E questo mediante un andare alle cose stesse che significa in primo luogo accogliere il mondo come luogo e struttura che nello stesso tempo è e si manifesta, che accade nel suo manifestarsi e si manifesta perché c’è e non perché una qualche mente lo pensi. Se possiamo apprendere l’esistenza di un ente e i modi del suo esistere soltanto perché essi si manifestano a noi, questo non vuole dire che l’esistenza di quell’ente sia qualcosa di coscienziale e interiore, e assolutamente non vuol dire, non può voler dire pena l’irrazionalismo solipsistico, che quell’ente sia costruito dalla nostra coscienza, da essa prodotto, da noi dipendente. Che il mondo sia una mia rappresentazione può significare solo che io articolo le sue manifestazioni nei modi in cui la struttura del corpomente che sono permette di articolarli ma esso, il mondo e tutte le sue manifestazioni, sono interamente e sempre autonomi dall’esistenza mia, dell’umanità, di qualunque entità che elabora delle rappresentazioni. Afferma efficacemente Costa: «In ogni caso, l’esse non è il percipi»; con il linguaggio di Husserl si può dire che la sintesi operata dalla coscienza sui dati percettivi è sempre una sintesi passiva, che esperisce strutture oggettive e autonome dalla coscienza mentre alla coscienza si manifestano.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.