Drink me. Eat me. La misura della figura umana nello spazio della rappresentazione tra Ottocento e Novecento/Drink me. Eat me. The measure of the human figure in the space of representation between the nineteenth and twentieth centuries

Within the more general topic concerning the congruity and transgression in the dimensioning of the represented forms, this note offers some brief reflections on the measurement of human bodies within the space of representation between the nineteenth and twentieth centuries. If, as happened above all from antiquity to the early Renaissance, high-ranking characters were generally depicted by amplifying their dimensions, from the end of the 18th century, the common aspiration towards forms of figuration more oriented towards realism in images, on the basis of a new sensitivity supported by the spread of the photographic technique, has prompted the search for more precise graphic methods, often described in perspective manuals. In the same years, this new visual paradigm supports the graphic and literary artifice whereby variations in the size of human figures correspond to states of disorientation and drastic alterations in interaction with the environment, as explored in fantasy literature, from Swift to Carroll. This narrative technique, used extensively by the surrealists, still maintains its effectiveness intact today and shows how the link with the physical presence and dimension of the body is one of the inextinguishable instances which, even in a period of virtualization of relationships and representations, supports and nourishes everyone’s relationship with the surrounding world.

All’interno del più generale ambito che riguarda la congruità e la trasgressione nel dimensionamento delle forme rappresentate, in questa nota si propongono alcune brevi riflessioni sulla misura dei corpi umani nello spazio della rappresentazione tra l’Ottocento e il Novecento, assieme ad una succinta campionatura di esempi rilevanti. Se, come avveniva soprattutto dall’antichità al primo Rinascimento, generalmente i personaggi di rango elevato erano raffigurati amplificandone le dimensioni, dalla fine del XVIII secolo, l’aspirazione comune verso forme di figurazione maggiormente orientate al realismo nelle immagini, sulla scorta di una nuova sensibilità sostenuta dal diffondersi della tecnica fotografica, ha sollecitato la ricerca di metodi grafici più precisi, spesso descritti in manuali di prospettiva. Questo nuovo paradigma visivo sostiene negli stessi anni l’artificio grafico e letterario per cui a variazioni nella dimensione delle figure umane corrispondono stati di disorientamento e drastiche alterazioni nell’interazione con l’ambiente, come esplorato nella letteratura fantastica, da Swift sino a Carroll. Questa tecnica narrativa, utilizzata in modo estensivo dai surrealisti, ancora oggi mantiene intatta la sua efficacia e mostra come il legame con la presenza fisica e la dimensione del corpo sia una delle inestinguibili istanze che, anche in un periodo di virtualizzazione delle relazioni e delle rappresentazioni, sostenga e nutra la relazione di ciascuno col mondo circostante.