Le scelte effettuate dal legislatore italiano in tema di immigrazione e dettate dall’emergenza sicuritaria continuano a essere oggetto di dibattito non solo in sede politica, ma anche nell’ambito della dottrina giuridica e della magistratura. Di recente, è stata sollevata dinnanzi alla Corte di Giustizia dell’Unione europea dal Tribunale di Rovigo, sezione distaccata di Adria (giudice Miazzi), con l’ordinanza del 15 luglio 2011, una questione di compatibilità del reato di immigrazione illegale con la direttiva rimpatri del 2008. Il giudice remittente si domanda, innanzitutto, alla luce dei principi di leale cooperazione e di effetto utile delle direttive, se sia compatibile con la Direttiva rimpatri la regolamentazione italiana in ragione della quale lo straniero extracomunitario, per il semplice fatto dell’ingresso o del soggiorno illegale (e ancora prima dell’inosservanza di un ordine di allontanamento emanato dall’autorità amministrativa), possa essere punito con un’ammenda sostituita, in caso di insolvenza, dalla sanzione penale della permanenza domiciliare. Si chiede inoltre se risponda sempre ai principi di leale cooperazione e di effetto utile delle direttive europee il comportamento dello Stato italiano che, successivamente all’emanazione della Direttiva rimpatri, ha introdotto l’art. 10-bis t.u., nel quale si prevede che il cittadino di un Paese terzo, il cui soggiorno è irregolare, sia sanzionato con una pena pecuniaria sostituita dalla sanzione penale dell’espulsione immediatamente eseguibile, senza il rispetto della procedura e dei diritti dello straniero previsti nella Direttiva in materia di allontanamento dal territorio comunitario. Infine, il giudice si domanda, da un lato, se il principio di leale cooperazione osti ad una norma nazionale adottata in pendenza del termine di attuazione di una direttiva per eludere – o comunque limitare – l’applicazione della medesima e, dall’altro, quali provvedimenti il giudice debba adottare nel caso in cui rilevi questa finalità. I quesiti posti sono sostanzialmente due (il terzo, infatti, sembra piuttosto ridondante, perché esprime un giudizio sulle finalità delle scelte normative compiute dal legislatore italiano, in verità già oggetto delle prime due questioni) e riguardano in effetti la compatibilità con la normativa europea non tanto del reato di ingresso e soggiorno illegali in sé, bensì degli strumenti sanzionatori sostitutivi della pena principale (di tipo pecuniario) delineati dal legislatore nazionale: la permanenza domiciliare e l’espulsione. A seguito di un complesso percorso argomentativo, rispetto ai quesiti posti nell’ordinanza di rimessione alla Corte di Giustizia dell’Unione europea si può sostenere che: - non vi sia incompatibilità fra la Direttiva rimpatri e la previsione della permanenza domiciliare come sanzione sostitutiva dell’ammenda, perché la permanenza domiciliare è pena principale irrogabile dal giudice di pace e nulla vieta agli Stati membri di criminalizzare la condizione di illegalità dello straniero attraverso la predisposizione di una normativa coerente con i contenuti della Direttiva; - non vi sia incompatibilità fra la Direttiva rimpatri e la previsione in sé dell’espulsione come sanzione sostitutiva dell’ammenda (se attuata con la forma della partenza volontaria. Basta, quindi, che i giudici disapplichino la norma interna sull’immediata esecutività della soluzione ablativa); - vi sia incompatibilità fra la Direttiva e la previsione dell’espulsione immediata come sanzione sostitutiva dell’ammenda perché la mera condizione di illegalità non può essere presa in considerazione per giustificare deroghe alle modalità ordinarie di allontanamento degli allogeni. Da questo punto di vista, l’ordinanza del Tribunale di Rovigo, sezione distaccata di Adria, merita di essere accolta dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea. Inoltre: - appare incostituzionale per violazione del principio di eguaglianza l’ammontare della pena pecuniaria da convertire in permanenza domiciliare per la rigidità del calcolo; - una volta acclarata la natura penale della sanzione sostitutiva dell’espulsione dell’art. 16 t.u., appare incostituzionale, per violazione del principio di presunzione di non colpevolezza, la previsione della sua immediata esecutività prima del passaggio in giudicato della sentenza di condanna.

Riflessioni sulla compatibilità del reato di immigrazione illegale con la Direttiva rimpatri (nota all'ordinanza del Tribunale di Rovigo del 15 luglio 2011)

LANZA, Enrico
2011-01-01

Abstract

Le scelte effettuate dal legislatore italiano in tema di immigrazione e dettate dall’emergenza sicuritaria continuano a essere oggetto di dibattito non solo in sede politica, ma anche nell’ambito della dottrina giuridica e della magistratura. Di recente, è stata sollevata dinnanzi alla Corte di Giustizia dell’Unione europea dal Tribunale di Rovigo, sezione distaccata di Adria (giudice Miazzi), con l’ordinanza del 15 luglio 2011, una questione di compatibilità del reato di immigrazione illegale con la direttiva rimpatri del 2008. Il giudice remittente si domanda, innanzitutto, alla luce dei principi di leale cooperazione e di effetto utile delle direttive, se sia compatibile con la Direttiva rimpatri la regolamentazione italiana in ragione della quale lo straniero extracomunitario, per il semplice fatto dell’ingresso o del soggiorno illegale (e ancora prima dell’inosservanza di un ordine di allontanamento emanato dall’autorità amministrativa), possa essere punito con un’ammenda sostituita, in caso di insolvenza, dalla sanzione penale della permanenza domiciliare. Si chiede inoltre se risponda sempre ai principi di leale cooperazione e di effetto utile delle direttive europee il comportamento dello Stato italiano che, successivamente all’emanazione della Direttiva rimpatri, ha introdotto l’art. 10-bis t.u., nel quale si prevede che il cittadino di un Paese terzo, il cui soggiorno è irregolare, sia sanzionato con una pena pecuniaria sostituita dalla sanzione penale dell’espulsione immediatamente eseguibile, senza il rispetto della procedura e dei diritti dello straniero previsti nella Direttiva in materia di allontanamento dal territorio comunitario. Infine, il giudice si domanda, da un lato, se il principio di leale cooperazione osti ad una norma nazionale adottata in pendenza del termine di attuazione di una direttiva per eludere – o comunque limitare – l’applicazione della medesima e, dall’altro, quali provvedimenti il giudice debba adottare nel caso in cui rilevi questa finalità. I quesiti posti sono sostanzialmente due (il terzo, infatti, sembra piuttosto ridondante, perché esprime un giudizio sulle finalità delle scelte normative compiute dal legislatore italiano, in verità già oggetto delle prime due questioni) e riguardano in effetti la compatibilità con la normativa europea non tanto del reato di ingresso e soggiorno illegali in sé, bensì degli strumenti sanzionatori sostitutivi della pena principale (di tipo pecuniario) delineati dal legislatore nazionale: la permanenza domiciliare e l’espulsione. A seguito di un complesso percorso argomentativo, rispetto ai quesiti posti nell’ordinanza di rimessione alla Corte di Giustizia dell’Unione europea si può sostenere che: - non vi sia incompatibilità fra la Direttiva rimpatri e la previsione della permanenza domiciliare come sanzione sostitutiva dell’ammenda, perché la permanenza domiciliare è pena principale irrogabile dal giudice di pace e nulla vieta agli Stati membri di criminalizzare la condizione di illegalità dello straniero attraverso la predisposizione di una normativa coerente con i contenuti della Direttiva; - non vi sia incompatibilità fra la Direttiva rimpatri e la previsione in sé dell’espulsione come sanzione sostitutiva dell’ammenda (se attuata con la forma della partenza volontaria. Basta, quindi, che i giudici disapplichino la norma interna sull’immediata esecutività della soluzione ablativa); - vi sia incompatibilità fra la Direttiva e la previsione dell’espulsione immediata come sanzione sostitutiva dell’ammenda perché la mera condizione di illegalità non può essere presa in considerazione per giustificare deroghe alle modalità ordinarie di allontanamento degli allogeni. Da questo punto di vista, l’ordinanza del Tribunale di Rovigo, sezione distaccata di Adria, merita di essere accolta dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea. Inoltre: - appare incostituzionale per violazione del principio di eguaglianza l’ammontare della pena pecuniaria da convertire in permanenza domiciliare per la rigidità del calcolo; - una volta acclarata la natura penale della sanzione sostitutiva dell’espulsione dell’art. 16 t.u., appare incostituzionale, per violazione del principio di presunzione di non colpevolezza, la previsione della sua immediata esecutività prima del passaggio in giudicato della sentenza di condanna.
2011
stranieri; clandestinità; espulsione
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