L’incipit di questo saggio prende le mosse dal ritrovamento della corrispondenza che tra l’agosto 1585 e il novembre 1586, intercorse tra Gregorio Bravo de Sotomayor, visitatore generale del regno di Sicilia, e Giovanni Battista Castagna, cardinale di san Marcello ed eminente protagonista della curia romana, in relazione all’acceso conflitto che da tempo opponeva la classe dirigente civile e religiosa di Catania al suo vescovo, Vincenzo Cutelli. Una contesa riguardante la cura delle anime e la proprietà dei beni ecclesiastici, dove le accuse reciproche si erano incrociate nel corso degli anni, giungendo fino alla richiesta di rimozione del vescovo dalla cattedra catanese. Una decisione estrema cui la Santa Sede rispose affidando la questione agli organi preposti tra cui, appunto, la Congregazione dei vescovi di cui Castagna era componente. È in questo clima acceso che si inserisce la corrispondenza del Bravo, importante ecclesiastico spagnolo da circa tre anni nell’isola per controllare le magistrature del regno su mandato di Filippo II1, che rivestiva anche l’ufficio di uditore della Sacra Rota e, quindi, era ben addentro alle gerarchie romane, oltre che in confidenza con il cardinale Castagna, come rivelano i toni usati per descrivergli la gravità della questione Prima però di passare alla disamina della fonte, altre informazioni vanno rese al lettore. Innanzitutto, la cronologia iniziale della corrispondenza, poiché che il primo memoriale rintracciato fosse scritto con quei toni e in quella data, non era casuale. Nel corso della primavera 1585 erano, infatti, occorsi due fatti estremi per gli equilibri della Santa Sede: da un verso la morte di Gregorio XIII e dall’altro, l’elezione al soglio pontificio di Sisto V, il francescano Felice Peretti . Due pontefici ma, soprattutto, due uomini molto diversi fra di loro; con il primo che, peraltro, non aveva mai avuto simpatia per il secondo. Se quindi, come spesso accadde, l’avvicendarsi dei pontefici, comportava una ‘rivoluzione’ degli uffici e delle clientele, nel caso in oggetto, l’avvento di Sisto V sconvolse il partito del papa precedente e con esso, la rete di sostegno che fino ad allora aveva appoggiato le intemperanze del Cutelli che da parte sua, e senza timori, proseguì nel lanciare scomuniche verso i suoi nemici. Né ciò suscitò stupore. Il carattere sulfureo del vescovo era, infatti, un tratto su cui è stato spesso posto l’accento dalle cronache e dalla storiografia , e, in realtà, ebbe peso in una contesa inedita anche per una città che aveva già conosciuto aspre controversie con i suoi prelati. Ad esempio, nel 1540 con il vescovo napoletano Nicola Maria Caracciolo, allorché questi avviò una complessa riforma della religiosità cittadina che fu intesa dal capitolo della cattedrale e dal capitolo della collegiata, come un attacco alle loro prerogative . In loro difesa, anche allora era scesa in campo l’autorità civile che, in nome della libertà dei cittadini di assumere i sacramenti fuori dalle parrocchie di appartenenza, protesse i membri dei capitoli con gran parte dei quali condivideva origine familiare e patrimoni. In quel caso però, la caratura politica del Caracciolo, di canto alla prudenza necessaria – qualche anno dopo sarebbe stato sospettato di essere vicino al teologo Juan de Valdés –, avrebbero mantenuto lo scontro su un piano istituzionale, salvaguardando il ruolo delle parti. Ed in una qualche misura, il fatto stesso che tra le fila dell’ordine benedettino di San Nicola l’Arena vi fosse Benedetto Fontanini (più noto come Benedetto da Mantova), autore nel 1537 del Beneficio di Cristo, manifesto dell’evangelismo interno alla chiesa cattolica , testimonia sia la sensibilità spirituale del Caracciolo, sia la flessibilità che, per forza di cosa, ebbe con i soggetti politici del territorio. Di conseguenza, la riforma del vescovo per una razionalizzazione sacramentale che rimediasse alle alterazioni del passato, si mantenne nell’agone di una contrapposizione diretta ad attuare le disposizioni dei decreti tridentini. E se non mancarono toni accesi, quest’ultimi furono presto temperati. Né li avrebbe inaspriti il successore di Caracciolo, il vescovo Antonio Faraone. Con Vincenzo Cutelli, invece, tutto ebbe a mutare. Ma riprendiamo adesso le fila del memoriale.
I memoriali della discordia. Contrapposizioni istituzionali e conflitti politici nella Sicilia di fine Cinquecento
Scalisi lina
2025-01-01
Abstract
L’incipit di questo saggio prende le mosse dal ritrovamento della corrispondenza che tra l’agosto 1585 e il novembre 1586, intercorse tra Gregorio Bravo de Sotomayor, visitatore generale del regno di Sicilia, e Giovanni Battista Castagna, cardinale di san Marcello ed eminente protagonista della curia romana, in relazione all’acceso conflitto che da tempo opponeva la classe dirigente civile e religiosa di Catania al suo vescovo, Vincenzo Cutelli. Una contesa riguardante la cura delle anime e la proprietà dei beni ecclesiastici, dove le accuse reciproche si erano incrociate nel corso degli anni, giungendo fino alla richiesta di rimozione del vescovo dalla cattedra catanese. Una decisione estrema cui la Santa Sede rispose affidando la questione agli organi preposti tra cui, appunto, la Congregazione dei vescovi di cui Castagna era componente. È in questo clima acceso che si inserisce la corrispondenza del Bravo, importante ecclesiastico spagnolo da circa tre anni nell’isola per controllare le magistrature del regno su mandato di Filippo II1, che rivestiva anche l’ufficio di uditore della Sacra Rota e, quindi, era ben addentro alle gerarchie romane, oltre che in confidenza con il cardinale Castagna, come rivelano i toni usati per descrivergli la gravità della questione Prima però di passare alla disamina della fonte, altre informazioni vanno rese al lettore. Innanzitutto, la cronologia iniziale della corrispondenza, poiché che il primo memoriale rintracciato fosse scritto con quei toni e in quella data, non era casuale. Nel corso della primavera 1585 erano, infatti, occorsi due fatti estremi per gli equilibri della Santa Sede: da un verso la morte di Gregorio XIII e dall’altro, l’elezione al soglio pontificio di Sisto V, il francescano Felice Peretti . Due pontefici ma, soprattutto, due uomini molto diversi fra di loro; con il primo che, peraltro, non aveva mai avuto simpatia per il secondo. Se quindi, come spesso accadde, l’avvicendarsi dei pontefici, comportava una ‘rivoluzione’ degli uffici e delle clientele, nel caso in oggetto, l’avvento di Sisto V sconvolse il partito del papa precedente e con esso, la rete di sostegno che fino ad allora aveva appoggiato le intemperanze del Cutelli che da parte sua, e senza timori, proseguì nel lanciare scomuniche verso i suoi nemici. Né ciò suscitò stupore. Il carattere sulfureo del vescovo era, infatti, un tratto su cui è stato spesso posto l’accento dalle cronache e dalla storiografia , e, in realtà, ebbe peso in una contesa inedita anche per una città che aveva già conosciuto aspre controversie con i suoi prelati. Ad esempio, nel 1540 con il vescovo napoletano Nicola Maria Caracciolo, allorché questi avviò una complessa riforma della religiosità cittadina che fu intesa dal capitolo della cattedrale e dal capitolo della collegiata, come un attacco alle loro prerogative . In loro difesa, anche allora era scesa in campo l’autorità civile che, in nome della libertà dei cittadini di assumere i sacramenti fuori dalle parrocchie di appartenenza, protesse i membri dei capitoli con gran parte dei quali condivideva origine familiare e patrimoni. In quel caso però, la caratura politica del Caracciolo, di canto alla prudenza necessaria – qualche anno dopo sarebbe stato sospettato di essere vicino al teologo Juan de Valdés –, avrebbero mantenuto lo scontro su un piano istituzionale, salvaguardando il ruolo delle parti. Ed in una qualche misura, il fatto stesso che tra le fila dell’ordine benedettino di San Nicola l’Arena vi fosse Benedetto Fontanini (più noto come Benedetto da Mantova), autore nel 1537 del Beneficio di Cristo, manifesto dell’evangelismo interno alla chiesa cattolica , testimonia sia la sensibilità spirituale del Caracciolo, sia la flessibilità che, per forza di cosa, ebbe con i soggetti politici del territorio. Di conseguenza, la riforma del vescovo per una razionalizzazione sacramentale che rimediasse alle alterazioni del passato, si mantenne nell’agone di una contrapposizione diretta ad attuare le disposizioni dei decreti tridentini. E se non mancarono toni accesi, quest’ultimi furono presto temperati. Né li avrebbe inaspriti il successore di Caracciolo, il vescovo Antonio Faraone. Con Vincenzo Cutelli, invece, tutto ebbe a mutare. Ma riprendiamo adesso le fila del memoriale.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.


