Si critica una sentenza senza precedenti per la ragione che il risarcimento del danno non patrimoniale viene configurato e riconosciuto in favore di una società di capitali denigrata alla stregua di danno morale da sofferenza psicologica dei lavoratori; principio, questo, che desta forti perplessità già per la semplice ragione che non appare garantita alcuna correlazione tra l’attribuzione della somma a titolo di risarcimento e la compensazione della sofferenza per cui esso viene liquidato. Circa le ragioni per le quali sarebbe consenti-to dare ingresso al risarcimento del danno non patrimoniale in questione anche in assenza di un’ipotesi di reato, poi, la decisione non offre una propria linea di pensiero, ma, attraverso l’argomento del precedente, si risolve in una trasposizione meccanica agli enti collettivi di quell’esigenza di una tutela minima risarcitoria accreditatasi con riferimento ai danni alle persone fisiche in nome del disegno solidaristico della Costituzione. Guardando, però, alla portata applicativa del rimedio disposto dal giudice e, in particolare, ai criteri di quantificazione del danno, il risarcimento risulta operare non già per compensare la lesione del diritto della personalità violato (che rileva, del resto, come distinto danno patrimoniale), bensì in chiave di preservazione e di soddisfazione (di rivincita) di un onore collettivo che, in via di principio, può risultare anche appropriato ascrivere a quell’unico centro di imputazione costituito dalla sfera dell’ente. Resta, però, il dubbio che il giudice abbia dato ingresso a un rimedio punitivo in violazione della riserva di legge di cui all’art. 2059 c.c.

Denigrazione dei prodotti di un'impresa e risarcibilità della "sofferenza" patita dai dipendenti

MAUCERI, TOMMASO
2012-01-01

Abstract

Si critica una sentenza senza precedenti per la ragione che il risarcimento del danno non patrimoniale viene configurato e riconosciuto in favore di una società di capitali denigrata alla stregua di danno morale da sofferenza psicologica dei lavoratori; principio, questo, che desta forti perplessità già per la semplice ragione che non appare garantita alcuna correlazione tra l’attribuzione della somma a titolo di risarcimento e la compensazione della sofferenza per cui esso viene liquidato. Circa le ragioni per le quali sarebbe consenti-to dare ingresso al risarcimento del danno non patrimoniale in questione anche in assenza di un’ipotesi di reato, poi, la decisione non offre una propria linea di pensiero, ma, attraverso l’argomento del precedente, si risolve in una trasposizione meccanica agli enti collettivi di quell’esigenza di una tutela minima risarcitoria accreditatasi con riferimento ai danni alle persone fisiche in nome del disegno solidaristico della Costituzione. Guardando, però, alla portata applicativa del rimedio disposto dal giudice e, in particolare, ai criteri di quantificazione del danno, il risarcimento risulta operare non già per compensare la lesione del diritto della personalità violato (che rileva, del resto, come distinto danno patrimoniale), bensì in chiave di preservazione e di soddisfazione (di rivincita) di un onore collettivo che, in via di principio, può risultare anche appropriato ascrivere a quell’unico centro di imputazione costituito dalla sfera dell’ente. Resta, però, il dubbio che il giudice abbia dato ingresso a un rimedio punitivo in violazione della riserva di legge di cui all’art. 2059 c.c.
2012
enti collettivi; diritti della personalità; responsabilità
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.11769/70086
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