Il diario di viaggio di Gianni Celati (Verso la foce, 1989) articola in quattro “taccuini” un’esperienza reale di attraversamento della pianura padana, in cui parte significativa ha il viaggiare a piedi: dentro una tradizione anche letteraria (Rousseau, Wordsworth, Thoreau, Chatwin, ecc.) nella quale il camminare è un’arte, la cui cifra è la lentezza, in cui un soggetto solitario muove all’esplorazione degli interstizi della modernità; al ritmo del passo si conforma l’andamento narrativo, secondo l’archetipo del viaggio-racconto ordinato intorno a una sequenza di incontri. Il valore antropologico del camminare sta nel rapporto tra andare e nominazione del mondo e nella ricerca identitaria del soggetto che esperisce la continuità dell’io-corpo nella variabilità del mondo. L’immersione nel paesaggio attiva una percezione polisensoriale (olfatto, vista, udito), ma la perdita di intelligibilità del mondo induce smarrimento percettivo. L’attraversamento delle pianure è così connotato dal disorientamento, come effetto dell’entropia e sentimento delle eterotopie. La strada e il fiume diventano metafore del vagabondaggio e forma letteraria (racconto-viaggio, journal du route). Ma rimane irrisolta la tensione tra i due principi della visita (di ascendenza dadaista) e del pellegrinaggio (desacralizzato) sui luoghi della memoria.
Camminare/scrivere. Il diario di strada di Gianni Celati
SCHILIRO', MASSIMO
2008-01-01
Abstract
Il diario di viaggio di Gianni Celati (Verso la foce, 1989) articola in quattro “taccuini” un’esperienza reale di attraversamento della pianura padana, in cui parte significativa ha il viaggiare a piedi: dentro una tradizione anche letteraria (Rousseau, Wordsworth, Thoreau, Chatwin, ecc.) nella quale il camminare è un’arte, la cui cifra è la lentezza, in cui un soggetto solitario muove all’esplorazione degli interstizi della modernità; al ritmo del passo si conforma l’andamento narrativo, secondo l’archetipo del viaggio-racconto ordinato intorno a una sequenza di incontri. Il valore antropologico del camminare sta nel rapporto tra andare e nominazione del mondo e nella ricerca identitaria del soggetto che esperisce la continuità dell’io-corpo nella variabilità del mondo. L’immersione nel paesaggio attiva una percezione polisensoriale (olfatto, vista, udito), ma la perdita di intelligibilità del mondo induce smarrimento percettivo. L’attraversamento delle pianure è così connotato dal disorientamento, come effetto dell’entropia e sentimento delle eterotopie. La strada e il fiume diventano metafore del vagabondaggio e forma letteraria (racconto-viaggio, journal du route). Ma rimane irrisolta la tensione tra i due principi della visita (di ascendenza dadaista) e del pellegrinaggio (desacralizzato) sui luoghi della memoria.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.