Tereo su un’hydria della stipe della MannellaUn frammento di hydria rinvenuto nella stipe della Mannella di Locri, il quale mostra caratteri di eccezionalità perché si tratta dell’unica raffigurazione, almeno sin ora nota, della metamorfosi di Tereo, fornisce l’occasione per riproporre da un angolo visuale diverso, il problema della rappresentazione del re trace nella produzione vascolare attica; una questione che si rivela di un certo interesse per l’ambito cronologico ben definito nel quale le scene, che hanno per protagonista questo sovrano si collocano, ossia il trentennio compreso fra il 500 e il 470/60 a.C.Il problema che ci si pone è quello, dunque, delle motivazioni, che, proprio in questo arco temporale, determinarono l’ingresso di questo tema mitico nelle agende dei differenti artisti del Ceramico, e, al contempo, delle implicazioni storico-politiche di questa scelta tematica. Pur tenendo conto della necessità di non stabilire una equazione troppo diretta fra cultura visuale greca e storia contemporanea, è tuttavia da osservare che proprio in quegli anni, con la riforma democratica di Clistene, Atene era impegnata in un profondo rinnovamento delle istituzioni sociali e politiche e, in una prospettiva più ampia, nella ridefinizione dei valori etico-religiosi e politico sociali comunitari. A questo compito non si sottrasse, ad esempio, un grande poeta come Eschilo, il quale vi contribuì attraverso la problematicizzazione attualizzata delle vicende mitiche portate in scena, ma, si può supporre, che anche gli artigiani del Ceramico, per lo meno i suoi esponenti più qualificati, non siano rimasti estranei a questo processo, mostrandosi anch’essi “partecipi” della vita della polis.Questo interesse per la Tracia e i suoi “eroi” non è limitato all’ambito dei documenti figurati e ci è dato coglierlo, sul versante letterario, in Eschilo, il quale nel 476 a.C., avrebbe partecipato al fianco di Cimone alla spedizione volta alla riconquista della Tracia, e che in quella terra ambientò, la trama della Lykourgeia ( Edoni, Bassarai, Neaniskoi e il dramma satiresco Licurgo) e, almeno parzialmente, la trilogia su Aiace. Anche la reggia di Fineo, nell’omonima tragedia del 472 a.C., con molta probabilità, era localizzata nella Tracia d’Asia. In ambito storico, Erodoto ci consente di seguire le vicende che videro la Tracia oggetto di conquista da parte dei Persiani con la campagna di Megabàzo, prima, negli anni 512-511, e con quella di Mardonio poi, che consolidò la presenza dei Medi nella regione e la normalizzò con la creazione di una vera e propria satrapia nel 492 a.C. È proprio durante gli anni in cui la Tracia entra progressivamente nella sfera di influenza persiana, per costituire, alla luce del disegno imperialista di Dario e di Serse, una sorta di avamposto per la conquista della Grecia – disegno questo che certamente non sfuggiva agli Ateniesi- che si afferma lo stereotipo culturale tracio e che vengono elaborate le varianti letterarie e iconografiche dei miti violenti di Tracia. Proprio agli inizi del V secolo a.C., dunque, si fissa il ritratto di Licurgo, di Fineo, quello di Tereo e l’ambientazione diventa qualificante. La scena pittorica e quella drammatica sono dominate da figure che trasmettono l’immagine di un regalità distorta, di una crudeltà senza precedenti e senza confronti, di una disumanità che coinvolge anche Procne e Philomela, isolate in uno spazio non loro, uno spazio di barbarie, che muta i codici di comportamento delle due donne, le quali partecipano della violenza di Tereo; “il nuovo contesto geografico rinnova, infatti, i rapporti culturali e li istrada per vie diverse”. Un’immagine che nasce dalle dure esperienze contemporanee dei Greci, nelle quali realtà tracie e persiane si legano in uno stretto nodo, dalla ricordata fuga di Milziade nel 492 con il consolidarsi della satrapia persiana in Tracia, che aveva aperto ai nemici la strada dell’Ellade fino alla valle di Tempe, all’ampia partecipazione di truppe tracie reclutate da Serse nel 480, alla coalizione di Traci e Persiani che combattono fianco a fianco contro gli Ateniesi nel bacino dello Strìmone, nella battaglia cimoniana che porterà alla conquista di Eìon nel 476, all’intervento dei Traci settentrionali in aiuto dei Persiani, quando nella primavera del 465 Cimone con sole quattro triremi “scacciò i Persiani, sconfisse i Traci e aprì l’intero Chersoneso alla colonizzazione della sua città”, fino all’atto conclusivo segnato dalla sconfitta, a Drabesco nel 464, del figlio di Milziade, nel suo tentativo di conquistare la ricca regione del Pangeo, episodio in cui circa diecimila Ateniesi vennero trucidati e che segnò il fallimento del tentativo di fondare una città fortificata presso Enneahodoi.Né, in questo contesto, si possono passare sotto silenzio i dati archeologici che testimoniano, sul piano culturale, l’influsso evidente esercitato dalla toreutica e dalla oreficeria dei Medi sui manufatti artistici dei Traci nel primo trentennio del V secolo. Ma è nella poesia che ci è dato cogliere il trapasso da un’immagine talora conflittuale dei rapporti tra Greci e Traci, ma pur sempre improntata ad una certa familiarità ( vedi Archiloco, o Ipponatte), fino alla nascita di un clichè negativo di lunga durata agli inizi del V secolo. Il fenomeno si ripresenta nella produzione vascolare attica di età arcaica, in cui, i Traci, con una certa genericità, fanno la loro comparsa poco dopo la metà del VI secolo in scene di combattimento non mitiche, talvolta associati ad altre figure di stranieri quali gli Sciti o i Persiani, ma è col secolo successivo -il V- che anche nelle arti visuali si cristallizzano e definiscono i contorni della loro alterità di popolo “barbaro” e selvaggio, smodato rispetto ai canoni greci, caratterizzato da comportamenti inaccettabili all’etica greca (quali la licenza sessuale, la pirateria, la vendita dei figli, l’uso del tatuaggio e della marchiatura.) Si costituisce “una macroscopica griglia di opposizioni alla morale greca”; quell’etopea negativa in cui rimarranno imprigionati” e di cui raccontano con forza le immagini oggetto dell’analisi.

Tereo su un’hydria della stipe della Mannella

GIUDICE, ELVIA MARIA LETIZIA
2009-01-01

Abstract

Tereo su un’hydria della stipe della MannellaUn frammento di hydria rinvenuto nella stipe della Mannella di Locri, il quale mostra caratteri di eccezionalità perché si tratta dell’unica raffigurazione, almeno sin ora nota, della metamorfosi di Tereo, fornisce l’occasione per riproporre da un angolo visuale diverso, il problema della rappresentazione del re trace nella produzione vascolare attica; una questione che si rivela di un certo interesse per l’ambito cronologico ben definito nel quale le scene, che hanno per protagonista questo sovrano si collocano, ossia il trentennio compreso fra il 500 e il 470/60 a.C.Il problema che ci si pone è quello, dunque, delle motivazioni, che, proprio in questo arco temporale, determinarono l’ingresso di questo tema mitico nelle agende dei differenti artisti del Ceramico, e, al contempo, delle implicazioni storico-politiche di questa scelta tematica. Pur tenendo conto della necessità di non stabilire una equazione troppo diretta fra cultura visuale greca e storia contemporanea, è tuttavia da osservare che proprio in quegli anni, con la riforma democratica di Clistene, Atene era impegnata in un profondo rinnovamento delle istituzioni sociali e politiche e, in una prospettiva più ampia, nella ridefinizione dei valori etico-religiosi e politico sociali comunitari. A questo compito non si sottrasse, ad esempio, un grande poeta come Eschilo, il quale vi contribuì attraverso la problematicizzazione attualizzata delle vicende mitiche portate in scena, ma, si può supporre, che anche gli artigiani del Ceramico, per lo meno i suoi esponenti più qualificati, non siano rimasti estranei a questo processo, mostrandosi anch’essi “partecipi” della vita della polis.Questo interesse per la Tracia e i suoi “eroi” non è limitato all’ambito dei documenti figurati e ci è dato coglierlo, sul versante letterario, in Eschilo, il quale nel 476 a.C., avrebbe partecipato al fianco di Cimone alla spedizione volta alla riconquista della Tracia, e che in quella terra ambientò, la trama della Lykourgeia ( Edoni, Bassarai, Neaniskoi e il dramma satiresco Licurgo) e, almeno parzialmente, la trilogia su Aiace. Anche la reggia di Fineo, nell’omonima tragedia del 472 a.C., con molta probabilità, era localizzata nella Tracia d’Asia. In ambito storico, Erodoto ci consente di seguire le vicende che videro la Tracia oggetto di conquista da parte dei Persiani con la campagna di Megabàzo, prima, negli anni 512-511, e con quella di Mardonio poi, che consolidò la presenza dei Medi nella regione e la normalizzò con la creazione di una vera e propria satrapia nel 492 a.C. È proprio durante gli anni in cui la Tracia entra progressivamente nella sfera di influenza persiana, per costituire, alla luce del disegno imperialista di Dario e di Serse, una sorta di avamposto per la conquista della Grecia – disegno questo che certamente non sfuggiva agli Ateniesi- che si afferma lo stereotipo culturale tracio e che vengono elaborate le varianti letterarie e iconografiche dei miti violenti di Tracia. Proprio agli inizi del V secolo a.C., dunque, si fissa il ritratto di Licurgo, di Fineo, quello di Tereo e l’ambientazione diventa qualificante. La scena pittorica e quella drammatica sono dominate da figure che trasmettono l’immagine di un regalità distorta, di una crudeltà senza precedenti e senza confronti, di una disumanità che coinvolge anche Procne e Philomela, isolate in uno spazio non loro, uno spazio di barbarie, che muta i codici di comportamento delle due donne, le quali partecipano della violenza di Tereo; “il nuovo contesto geografico rinnova, infatti, i rapporti culturali e li istrada per vie diverse”. Un’immagine che nasce dalle dure esperienze contemporanee dei Greci, nelle quali realtà tracie e persiane si legano in uno stretto nodo, dalla ricordata fuga di Milziade nel 492 con il consolidarsi della satrapia persiana in Tracia, che aveva aperto ai nemici la strada dell’Ellade fino alla valle di Tempe, all’ampia partecipazione di truppe tracie reclutate da Serse nel 480, alla coalizione di Traci e Persiani che combattono fianco a fianco contro gli Ateniesi nel bacino dello Strìmone, nella battaglia cimoniana che porterà alla conquista di Eìon nel 476, all’intervento dei Traci settentrionali in aiuto dei Persiani, quando nella primavera del 465 Cimone con sole quattro triremi “scacciò i Persiani, sconfisse i Traci e aprì l’intero Chersoneso alla colonizzazione della sua città”, fino all’atto conclusivo segnato dalla sconfitta, a Drabesco nel 464, del figlio di Milziade, nel suo tentativo di conquistare la ricca regione del Pangeo, episodio in cui circa diecimila Ateniesi vennero trucidati e che segnò il fallimento del tentativo di fondare una città fortificata presso Enneahodoi.Né, in questo contesto, si possono passare sotto silenzio i dati archeologici che testimoniano, sul piano culturale, l’influsso evidente esercitato dalla toreutica e dalla oreficeria dei Medi sui manufatti artistici dei Traci nel primo trentennio del V secolo. Ma è nella poesia che ci è dato cogliere il trapasso da un’immagine talora conflittuale dei rapporti tra Greci e Traci, ma pur sempre improntata ad una certa familiarità ( vedi Archiloco, o Ipponatte), fino alla nascita di un clichè negativo di lunga durata agli inizi del V secolo. Il fenomeno si ripresenta nella produzione vascolare attica di età arcaica, in cui, i Traci, con una certa genericità, fanno la loro comparsa poco dopo la metà del VI secolo in scene di combattimento non mitiche, talvolta associati ad altre figure di stranieri quali gli Sciti o i Persiani, ma è col secolo successivo -il V- che anche nelle arti visuali si cristallizzano e definiscono i contorni della loro alterità di popolo “barbaro” e selvaggio, smodato rispetto ai canoni greci, caratterizzato da comportamenti inaccettabili all’etica greca (quali la licenza sessuale, la pirateria, la vendita dei figli, l’uso del tatuaggio e della marchiatura.) Si costituisce “una macroscopica griglia di opposizioni alla morale greca”; quell’etopea negativa in cui rimarranno imprigionati” e di cui raccontano con forza le immagini oggetto dell’analisi.
2009
88-8167-262-6
ceramica attica; iconografia
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